Altre storie, poco olimpiche, a Rio

OMICIDI, FURTI E PAURA Rio rimane violenta
di VALERIO PICCIONI
L’Olimpiade oscilla fra bellezza e paura, fra le prime medaglie e una violenza quotidiana che se ne infischia di ogni tregua olimpica. Da una parte i selfie sorridenti, il buon giorno divertito e ospitale dei volontari con il megafono, l’atmosfera festosa ed eccitata dei Giochi che cominciano. Dall’altra, sul tragitto verso il Maracanà, si sono visti l’altroieri pure i carri armati. La sicurezza è frazionata in tante sigle: polizia militare, civile, ferroviaria, e poi le forze armate, la guardia nazionale, la guardia municipale. Ma l’Olimpiade sicura è obiettivamente un’illusione. L’altra notte, era finita la cerimonia da poco, Vanderlei Lima aveva appena finito di accendere il braciere, chi passava per rua Francisco Xavier, vicinissimo al Maracanà, ha visto un cadavere sull’asfalto. Figlio ancora una volta di una storia non del tutto chiara, come alcuni degli omicidi di qui. Alcune persone reduci dalla cerimonia aspettavano a una fermata di autobus, due uomini – probabilmente in bicicletta – hanno provato a derubarli; a quel punto, sarebbe intervenuta la polizia, uccidendo uno dei presunti aggressori. Presunti perché non è ancora stata ricostruita per intero la dinamica e un testimone avrebbe raccontato di altri uomini in fuga su una moto.
La giornata era stata aperta da una storia struggente. Quella di Denise Ribeiro Dias, 51 anni, mamma di una bambina di 9, colpita da una pallottola durante un tentativo di assalto, mentre guidava la sua auto per andare al lavoro. Tutto questo vicino la zona portuaria di Rio, non lontano dal boulevard olimpico. La stampa brasiliana rivela un particolare atroce: Denise aveva deciso di usare l’auto e di non prendere la metropolitana durante i Giochi per timore di un attacco dell’Isis. In questo quadro, pure gli incidenti fra polizia e manifestanti anti-Temer, l’odiatissimo presidente entrato in carica con la sospensione di Dilma Rousseff, sembrano una vicenda di secondo piano. Tutto ciò, prima che lo stadio si prendesse la scena con la sua Rio meravigliosa: una sfida alla violenza difficilissima da vincere.
(La Gazzetta Sportiva, 7 agosto 2016)
Tensione sul bus: il Libano rifiuta gli atleti israeliani
Respinti mentre cercavano di salire su un pullman diretto al Maracanà
La replica: «Era stato assegnato a noi»
RICCARDO CRIVELLI Inviato a rio de janeiro
Un autobus per rinfocolare una guerra che sembra non voler finire mai. Israele e Libano sono formalmente due paesi in conflitto tra di loro e che non intrattengono alcun tipo di relazioni diplomatiche. Così, può accadere che un momento di gioia collettiva come la partecipazione alla cerimonia inaugurale dell’Olimpiade diventi il pretesto per una nuova sfida tutta politica tra le due delegazioni. Non è una situazione nuova, neppure nel consesso sportivo più alto: basti pensare al judoka iraniano che si rifiutò di affrontare un rivale israeliano ad Atene 2004 e al rientro in patria venne premiato con gli stessi soldi delle medaglie d’oro. L’incendiaria situazione mediorientale è da decenni un focolaio di tensioni insanabili tra paesi arabi e Stato ebraico.
L’INCIDENTE Così, quando l’altra sera un gruppo di atleti di Israele ha provato a salire su un pullman dell’organizzazione che portava al Maracanà, i libanesi già all’interno del mezzo hanno obbligato l’autista a tenere chiuse le porte, come conferma il capo della spedizione Salim al-Haj Nicolas: «Sono stato io a richiedere che non salissero, ma loro continuavano ad insistere». Il velista israeliano Udi Gal ha postato su Facebook la sua versione dei fatti: «E’ successo che ci siamo trovati a dividere il bus con i libanesi, ma quando se ne sono resi conto non ci hanno fatto salire. E noi non potevano cambiarlo per motivi di protocollo e di sicurezza, perciò se non ci volevano dovevano cambiare mezzo loro». Versione rigettata dalla controparte: «Il bus era assegnato alla nostra delegazione, ma loro volevano farci deliberatamente scendere ad ogni costo». Alla fine, la situazione si è risolta assegnando a ciascun team un pullman diverso, ma si è sfiorato davvero l’incidente internazionale: «Gli israeliani mischiano sempre sport e politica», il commento libanese. La replica: «Un comportamento che rappresenta l’esatto opposto dei valori dell’olimpismo, la delegazione libanese non ha nulla da dire in proposito?». Guerra, sempre guerra, infinita guerra.
(La Gazzetta Sportiva, 7 agosto 2016)

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