RICCARDO CRIVELLI Inviato a rio de janiero
Occhi verdi, battuta pronta, la spavalderia dei 21 anni. E un oro al collo che pesa come la storia che contiene. Sono bastate poche ore perché Fabio Basile, da perfetto sconosciuto si trasformasse in un personaggio che buca, coinvolge, affascina. Non è soltanto il successo olimpico, ma anche la voglia di aprirsi dopo cinque mesi in apnea, cinque mesi che gli hanno cambiato per sempre la vita. E così, nella festa della notte brasiliana, scambia il numero di telefono con un coiffeur famoso che ha già studiato per il fresco campione un’acconciatura da divo d’Olimpia e poi si mette ad imitare i personaggi di Gomorra, lui che è nato in Val di Susa ma, come denuncia il cognome, è per metà beneventano e per metà tarantino.
Fabio, ci racconta il suo pomeriggio magico?
«Mah, posso dirvi che io avevo in testa un solo pensiero: salire sul tatami e menarli tutti, dall’inizio alla fine. Potevo vincere o perdere, nello sport ci sta, ma non potevo mollare niente».
Qual è stato il match più difficile?
«La semifinale con lo sloveno Gomboc, sapevo che con lui dovevo gestire, non essere troppo aggressivo, darmi una calmata. Lui soffre gli attendisti e ha preso due sanzioni».
In cinque mesi dall’ombra al titolo olimpico…
«Davvero. A dicembre ero sostanzialmente una nullità, nel senso che non avevo nemmeno il ranking per sperare nell’Olimpiade, neppure alla lontana. Ma poi mi è stata data fiducia, e ho dimostrato di saper soffrire. Ho sofferto così tanto che i cinque combattimenti dell’Olimpiade non li ho nemmeno sentiti».
Quando ha capito che poteva essere un pomeriggio memorabile?
«All’oro non avevo mai pensato. Però la preparazione era andata benissimo, in nazionale c’è un grande staff e quando nel club puoi confrontarti con uno straordinario allenatore come Toniolo tutto viene più facile. Diciamo che una settimana fa ho avvertito delle sensazioni nuove, è scattato qualcosa, come quando ti rendi conto che il destino può cambiare e tu devi assecondarlo. Una forza interiore, mai sentita prima, che mi ha accompagnato sul tatami».
Quali sono stati i pensieri sul podio?
«Di solito si dice che ti passa tutta la vita davanti, ma per me non è stato così. Ero semplicemente sorpreso di tutta quella gente che applaudiva, che gridava, che era lì per me. Avevo la testa libera ed ero felice».
Fabio, perché il judo?
«Perché ho capito subito che era lo sport adatto a me, perché è la metafora della vita, cadi ma poi ti rialzi e devi sempre combattere per ottenere qualcosa. Non ero un ragazzo facile, a volte la troppa timidezza mi portava ad essere un ribelle, in palestra ho trovato la mia disciplina».
E’ vero che a sei anni aveva già le idee chiare?
«Ho visto Maddaloni vincere l’oro a Sydney nel 2000 e, anche se ero piccolino, ho capito che il judo era il mio destino».
C’è stato un momento in cui ha pensato di non poter realizzare i suoi sogni?
«E’ accaduto nel 2011, avevo 17 anni e vincevo anche all’estero contro quelli che ne avevano venti. Mi sono sentito imbattibile e mi sono un po’ montato la testa. Per fortuna la famiglia e l’allenatore mi hanno riportato con i piedi per terra».
Lei era una delle punte del progetto Tokyo 2020…
«Quando ho incontrato la prima volta il d.t. Murakami, gli ho spiegato che era un onore far parte del gruppo, ma che Tokyo mi sembrava fin troppo lontana. Sono la dimostrazione che si dovrebbe credere di più nei giovani».
Nella sua categoria, i 66 kg, c’è anche Elio Verde, uno dei grandi del judo italiano, con cui lei ha accettato di confrontarsi nella corsa al ranking olimpico. Ha un pensiero per lui?
«No, non ho niente da dirgli».
Cosa ha imparato in questi cinque mesi?
«Che dei pochi amici veri ti puoi fidare davvero. E sapere che qualcuno ti vuole male in realtà ti dà una grande forza. In tanti dicevano che non ce l’avrei mai fatta, ma più dicevano cattiverie, più crescevano rabbia e voglia di vincere».
Lo sa che è diventato un sex symbol in Italia?
«Pensa alla mia ragazza…».
A proposito, erano per lei le frecce scoccate dopo ogni vittoria?
«Anche, ma soprattutto per gli amici che erano qui. Sofia (la fidanzata, ndr) e i miei genitori volevano venire, ma sono stato io a fermarli. Ho fatto risultati negli ultimi tornei senza di loro, diciamo che un po’ è scaramanzia e un po’ la necessità di stare tranquillo».
In definitiva, chi è Fabio Basile?
«Un ragazzo che ama la solitudine. Non so neppure cos’è una playstation. Ho pochi amici, ma a loro affiderei la mia vita. E mi piace stare con la famiglia. Ho valori che magari qualcuno considera antiquati, come il rispetto assoluto della mia compagna, ma sono fatto così da sempre».
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