«Così ho smascherato il doping della Russia»

Il giornalista Seppelt della Ard ora vive sotto scorta: «Tutto cominciò nel 2011 da un farmaco che dava energia».
GIANNI MERLO Rio de Janeiro
Hajo Seppelt, 53 anni, giornalista investigativo della rete Ard di Berlino ha scoperchiato l’inganno del doping in Russia e qui viaggia sotto scorta. «Ricevo ogni giorno minacce, insulti — dice — non è facile, solo perché ho fatto venire a galla la verità. Quella russa è l’ultima, ma ho seguito anche tante altre piste viziose e smascherato gli inganni». Hajo ha cominciato la professione da giovanissimo, a 16 anni, in una radio americana, quando Berlino era ancora divisa. Poi ha lavorato due anni con l’agenzia di stampa Dpa, per passare ad una piccola stazione radio-televisiva legata all’Ard a Berlino.
Come è arrivato all’inchiesta sul doping?
«Sono stato telecronista di nuoto. Ho cominciato a interessarmi del doping con i processi alla Germania Est. Così sono diventato l’esperto in materia. Sono stato in Spagna sulle orme del dottor Fuentes, perché cercavo informazioni su Jan Ulrich e ne è uscito un documentario importante. Dopo molte discussioni interne sono stato spostato a un apposito dipartimento indipendente per le inchieste sul doping e la corruzione».
Ha sofferto per essere stato costretto a lasciare il posto di commentatore?
«No, perché ho cominciato nel 2008 con una grande documentario sul doping in Cina. L’anno seguente ho continuato le inchieste dopo i Mondiali di atletica a Berlino. Ho parlato del doping in Nord Corea. Fino ad arrivare alla prima grande inchiesta in Kenya del 2012, che ha cominciato a svegliare anche l’opinione pubblica».
Come è approdato all’affare Russia?
«Nel 2011 era successo un fatto che, all’inizio, non mi era sembrato importante. Uno scienziato austriaco mi aveva detto che, durante un convegno internazionale non sportivo, un accademico russo aveva parlato di una sua scoperta che lo aveva portato a creare un farmaco che donava energia. Quando erano emersi i primi gravi dubbi sulla Russia, sono andato a Mosca a incontrarlo e lui mi disse che era pronto a procurarmi il prodotto per 100.000 dollari. Era interessato solo ai soldi. Era un principio simile a quello dell’ormone della crescita. Dopo quell’incontro sono venuto a contatto con altre persone che conoscevano la verità, fino a che sono arrivato a Yulia Stepanova e suo marito, che hanno reso note tutte le procedure del doping di Stato. A fine settembre verrà pubblicato il rapporto McLaren per intero, poi il Cio dovrà decidere come comportarsi per i Giochi Invernali di Pyeong Chang, dopo lo scandalo di Sochi. Per ora i segnali che arrivano da Mosca non sono ancora buoni. Non c’è vera voglia di cambiare».
Qual è la sua opinione sul caso Schwazer?
«Io non conosco il ragazzo, ma posso mettere la mano sul fuoco per quanto riguarda la pulizia di Donati. Il caso in sé era molto complicato. Il collegio giudicante del Tas, che conosco ed è molto serio, ha preso in grande considerazione le tesi della difesa di Schwazer. I punti come la mancanza di segretezza e le terrificanti registrazioni telefoniche erano importanti, ma è mancata la prova finale della possibile manipolazione. Per questo sono stati costretti ad applicare il regolamento. Forse l’avvocato altoatesino avrebbe fatto bene a non parlare di bistecche inquinate e altro, la prima volta. C’è un’analogia con il caso Baumann, campione olimpico dei 5000 nel 1992, che disse di essere risultato positivo perché qualcuno aveva inquinato il suo dentifricio. Dagli archivi della Stasi erano emersi dei protocolli in cui gli atleti assumevano anabolizzanti con il dentifricio, ma questo non bastò a scagionarlo. La Iaaf non gli ha mai creduto».

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