L’atletica italiana, archiviata Rio, è all’anno zero. Come già si era detto al termine dei Mondiali di Pechino 2015 (assenza dal medagliere anche in quel caso), se non addirittura all’indomani di quelli di Berlino 2009 (idem). In mezzo, qualche sparuta presenza sul podio nelle grandi rassegne, aveva fatto da coperta di Linus. Il movimento, però, ora è nuovamente travolto dalle critiche. A muoverle soprattutto chi, probabilmente, non conosce bene la realtà e dai Giochi chissà cosa si aspettasse. E’ comunque chiaro che, come emerso dalle interviste pubblicate ieri a Massimo Magnani, d.t. uscente e all’ex sprinter azzurro Stefano Tilli, i problemi sul tavolo sono sempre più pesanti. Rispondiamo alle domande più frequenti.
1 Qual è il male che attanaglia la disciplina?
Ce ne fosse uno solo… Su tutti la mancanza di professionalità. A ogni livello: tra atleti, tecnici e dirigenti. Molti, tra i primi, sembrano accontentarsi. S’è visto anche a Rio, dove una minoranza s’è espressa al meglio nell’occasione clou e dove gli atteggiamenti di alcuni, a fronte di prestazioni negative, sono stati sconcertanti. La convocazione non deve equivalere a un traguardo raggiunto. Pochi, poi, hanno il coraggio di fare scelte di vita radicali. La maggioranza degli allenatori, come sostiene Magnani, può essere preparata a livello teorico, ma quanti sanno davvero gestire un atleta di vertice? L’Italia, una volta, coi propri maestri, faceva scuola. Non succede più da tempo. Infine i dirigenti. Servirebbero professionisti, manager dello sport. Siamo al dilettantismo puro.
2 E’ un problema di budget?
Anche, ma non solo. Le risorse, che non sono tante – ma nemmeno pochissime – andrebbero impiegate diversamente. Per appoggiare al meglio la crescita degli atleti, per consentire ai tecnici di aggiornarsi e per creare dirigenti all’altezza. C’è troppa dispersione. E’ giusto pensare alla base, anzi, fondamentale. Ma con intelligenza.
3 E’ il caso quindi di razionalizzare gli sforzi?
Esatto, per esempio concentrandosi su quei settori tecnici dove l’Italia più ha passato e presente, parzialmente tralasciando quelli nei quali è meno protagonista. Occorre mirare gli investimenti, non solo economici. Lo stesso per allenatori (vale il discorso di prima) e dirigenti: ne servono con poteri forti e retribuiti.
4 Il decentramento voluto dall’attuale gestione ha fallito?
Sì, è provato. E’ un modello utopistico, dispersivo e affidato al buon senso di pochi. Si torni alla divisione per settori, con referenti di specialità e sedi di lavoro fisse. Un d.t. con responsabilità diretta su tutto, dai 100 alla maratona, dal giavellotto alla corsa in montagna, per quanto impegnato 24 ore 24 (alla Magnani…) non può arrivare ovunque.
5 Si deve tornare ai centri e alle scuole di una volta?
In parte è stato fatto, ma non basta. Serve più di qualche raduno. Non è vero che l’Italia, a Rio, è rimasta all’asciutto… Da Gemona del Friuli è partito Wayde Van Niekerk, da Formia ha messo le ali Thiago Braz da Silva, da Lignano Sabbiadoro si son mossi Elaine Thompson e compagni. Per citare i casi più eclatanti. Segno che le strutture non mancano. Vanno sfruttate anche in chiave azzurra. Quelle di cui sopra o altre.
6 Che ruolo devono avere, in tutto questo, i gruppi militari?
Sono imprescindibili, linfa vitale, ma non devono dettare la linea tecnica e politica. Soprattutto non devono diventare un punto di arrivo per chi fa attività. I numeri degli arruolati stanno diminuendo, ma sono ancora troppi gli atleti che, una volta indossate le stellette e a stipendio garantito, si adagiano e perdono sacro fuoco e voglia di far fatica.
7 Può essere Stefano Baldini l’uomo del rilancio tecnico?
Ribadiamolo: oggi non ci sarebbe figura più adatta. Ma siamo sicuri che, con l’attuale situazione, il reggiano accetterebbe l’eventuale investitura? E soprattutto: siamo sicuri che debba ancora essere questo il modello di riferimento?
8 Le Nazionali giovanili, con lui referente, han prodotto risultati importanti: non si può ripartire da lì?
Si deve: i Tortu e le Folorunso, i Crippa e le Zenoni, i Sottile e le Stella, le Oki e le Giampietro. Senza dimenticare 21enni come Jacobs o la Del Buono. Sono questi (e altri che vengono subito dietro) i nomi sui quali puntare. I talenti non mancano e l’Italia, a livello europeo, ha dimostrato vivacità. Ma non basta.
9 L’assemblea federale di novembre segnerà una svolta?
La presidenza Giomi, soprattutto nella prima fase del mandato, aveva dato una scossa all’ambiente e fatto ritrovare entusiasmo. Che il compito resti a lui o venga affidato ad altri, resta che il problema non è dei singoli, ma del sistema.
10 E quindi?
Si metta mano allo statuto per evitare di cadere nei ricatti di chi ha più peso elettorale, si cambi la struttura dell’organigramma federale e si creda nel lavoro manageriale.
di Andrea Buongiovanni
La Gazzetta dello Sport – venerdì, 26 agosto 2016
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