Esenzioni mediche, lo sport è malato

Se volete partecipare anche voi al grande gioco di società sul doping fatevi avanti: ormai c’è posto per tutti. Da ieri al tavolo da poker in cui si decidono le sorti future dello sport c’è un nuovo soggetto: gli hacker. I pirati informatici russi di Fancy Bear si sono seduti di fianco a Cio, Wada, Comitati olimpici e federazioni internazionali e hanno calato il loro asso: «Siamo entrati nel sito della Wada e abbiamo acquisito le esenzioni terapeutiche di quattro grandi atlete: la ginnasta Simone Biles, le sorelle Williams e la cestista Elena Delle Donne». Che si tratti o no di indebita copertura dell’uso di sostanze dopanti, ci saremmo aspettati un’immediata levata di scudi da parte degli altri «giocatori» ma quasi tutti hanno pensato a un bluff e la notizia ha cominciato a circolare solo sui siti italiani. Solo nel primo pomeriggio la «rivendicazione» è stata annunciata da qualche agenzia, apparentemente disinteressata la stampa Usa. Ma cosa sta succedendo nello sport? Sta succedendo che l’assuefazione ai casi di doping ha alzato la soglia dell’interesse per queste vicende ai livelli di un record mondiale di salto in alto e soprattutto che la confusione ci rende sempre più scettici rispetto alla veridicità delle notizie. Eppure il caso di cui stiamo parlando ha molti aspetti per essere definito clamoroso. Proviamo ad elencarli.
1) Si tratta dell’ultimo atto della guerra fredda Usa-Russia che ha già lasciato sul campo l’atletica di Putin (esclusa dall’Olimpiade), ha portato al trasferimento oltreoceano degli accusatori russi e ha fatto maturare a Est la convinzione che il sistema antidoping (e gli enti che lo governano) vogliono chiudere un occhio sul doping a stelle e strisce. Putin contro Obama? Sarà fantapolitica ma le premesse dello scontro sono realistiche.
2) Finalmente viene aperto il vaso di pandora dello scandaloso abuso dei certificati medici. Qui non si tratta di stabilire quali atleti ne approfittano (o ne hanno approfittato) ma di aprire gli occhi su un sistema che attraverso l’esenzione terapeutica consente a molti atleti di aggirare i controlli antidoping. Una pratica che si perde nella notte dei tempi e che ha goduto di ampie coperture nazionali e internazionali. Vuoi usare certe sostanze border-line (ovviamente solo quelle a restrizione d’uso) e allora dì che si tratta di farmaci per una tua malattia (vera o presunta), fatti fare un certificato medico vistato da un ente del tuo comitato olimpico e dalla federazione internazionale. Basta presentare l’esenzione prima del controllo e il gioco è fatto: la positività non vale. Tutto legale, per carità, ma la straordinaria diffusione di sportivi asmatici aveva già in passato sollevato i sospetti: qualunque medico consiglierebbe a un malato di sospendere l’attività piuttosto che imbottirsi di pastiglie. O no?
3) Abbassa ancora di più la credibilità del sistema. Già i regolamenti, con leggi e codicilli a interpretazioni soggettive, hanno reso le cose difficili ma se anche la Wada, di cui avevamo grande fiducia, ha accettato che la Biles si curasse con le amfetamine (che migliorano la prestazione) non c’è da fidarsi più di nessuno. Giustamente l’Italia mantiene la regola di non concedere l’esenzione per farmaci che procurano vantaggi agli atleti, ma a quanto pare non tutti ragionano così.
Insomma, vi abbiamo convinti a non abbassare la guardia? Se è così, però, state attenti ai rischi. Quello principale è di fare di tutta l’erba un fascio: magari, nella fattispecie, i casi della Biles e della Delle Donne sono più gravi di quello delle Williams che hanno ottenuto di usare cortisonici e stimolanti solo a scopo terapeutico. Ma noi preferiamo inchinarci davanti alla piccola Ferrari: «Sono sempre rotta, ma non ho mai chiesto un’esenzione terapeutica». Nello sport non si dovrebbe giocare ad armi pari?
Fausto Narducci (La Gazzetta dello Sport – mercoledì, 14 settembre 2016)

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