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Il Giappone di Laura Scano, racconto di un’esperienza che cambia la vita

Udine, 15 settembre 2016. Nonostante ci siano tantissime cose da raccontare, penso sia difficile se non quasi impossibile trovare le parole per esprimere realmente quello che ho vissuto e provato in questo mio viaggio in Giappone. La terra del Sol levante è il sogno di ogni bambino da quando mette per la prima volta i piedi sul tatami, la terra del judo, sembra di parlare del paradiso e dopo 12 ore di volo mi sono ritrovata lì, dall’altra parte del mondo. Ho scelto di fare quest’esperienza da sola, con un gruppo di ragazzi toscani dell’Accademia Prato e mai scelta fu più azzeccata perché il divertimento e le risate ci hanno accompagnato in ognuno dei 23 giorni.
Abbiamo alloggiato nella cittadina di Katsuura, presso l’International Budo University, situata sul punto più alto della città che ci ha regalato tramonti mozzafiato. La struttura era organizzata come un villaggio: dormitori, mensa, dojo maschile e dojo femminile e tanti altri impianti sportivi per le altre attività. Gli allenamenti rimasti tradizionali e fermi nel tempo (nel senso positivo del termine), si dividevano in due sedute giornaliere più la corsa, a volte uomini e donne separati, altre volte insieme. La mattina la sveglia suonava sempre presto, colazione e via sul tatami per due ore intense di allenamento.
Se inizialmente ci sentivamo un pò tutti addormentati, la vera sveglia ogni mattina era il momento in cui, durante lo stretching, ai microfoni risuonava l’inno dell’università: un momento quasi toccante che richiamava l’appartenenza ad una nazione così lontana, eppure così vicina, ora dentro di noi. Il Maestro era un omino all’apparenza di poco conto, basso e tozzo, ma in realtà si trattava di Koshino Tadanori, vincitore di un bronzo olimpico e varie medaglie minori a livello nazionale (Tadanori Koshino, classe 1966, ha ottenuto nei 60 kg il terzo posto alle Olimpiadi a Barcellona 1992, è stato campione del mondo a Barcellona 1991 ed argento mondiale a Belgrado 1889, ndr).
Al suo arrivo il riscaldamento era già stato fatto e si procedeva con la “cerimonia” del saluto dove ci si inchinava ai maestri, alla bandiera, e ai compagni. Dopo non molti uchi komi eravamo pronti per il randori e ne abbiamo fatti davvero tanti, ma in un clima talmente perfetto la fatica, lo sforzo fisico, il sudore sono diventati un piacere, ma soprattutto un divertimento. Ero lì perchè volevo fare judo, non perché dovevo. Sembra quasi una barzelletta, ma questo tipo di approccio mi ha fatto riscoprire i miei limiti, soprattutto nei momenti di stanchezza, quando pensavo di non avere più forze.
E invece di energia ce ne avevo ancora, eccome. E mai come in quei momenti sono riuscita ad avere la spensieratezza di combattere, di divertirmi, di rialzarmi e allo stesso modo rimettere le mani sul judogi dei miei avversari. Nel pomeriggio, verso le 15 c’era il secondo allenamento, con randori sia in piedi che a terra e in seguito 8 km di corsa passando per il paese. Durante la mia permanenza in Giappone ci siamo allenati anche in altre due università a Tokyo, la Teikyo University e la Nittaidai, queste ultime molto più moderne, sia per quanto riguarda la struttura, che per mentalità e modo di allenarsi, in quanto prediligono i pesi o la corsa alla seconda seduta di allenamento.
Moderne o meno, tutto con un comune denominatore, si respirava judo nell’aria, ovunque, questa è stata la sensazione costante che ho provato. Penso di essere cresciuta a livello tecnico, senza neanche rendermene conto e allo stesso tempo d’aver fatto dei passi in avanti a livello ‘di testa’, eliminando quel blocco mentale che tante volte non mi ha permesso di esprimere al meglio il mio judo, quando mi mancava quel combattere per il piacere di farlo. La crescita, credo, sia stata anche personale, la gestione della fatica, dei carichi di lavoro, dei dolori e delle emozioni, mi hanno resa più indipendente e sicura di me stessa.
Mentre ero nel continente asiatico, una delle poche volte che mi è capitato di prendere in mano il telefono, ho letto una frase di Jigoro Kano in cui mi sono rispecchiata in quello che ho appreso grazie a quest’esperienza: “Il vero judo inizia quando ognuno di noi supera il concetto di vittoria o sconfitta”. Per logica conseguenza quindi, finchè combattiamo o gareggiamo a qualsiasi titolo non stiamo facendo judo, ma qualcosa di simile che comunque non è judo.
Consiglio a chiunque ne abbia la possibilità di lanciarsi nel vuoto in quest’avventura che vi rimarrà nel cuore per tutta la vita e che vi farà crescere non solo come atleti, ma anche come persone.

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