A proposito di coach… D’antoni, allenatore dell'anno in NBA

Alla consegna del premio come «allenatore dell’anno della Nba» Mike D’Antoni mi ha ringraziato per ciò che ho fatto per lui e per ciò che gli ho insegnato. Ha definito il nostro rapporto «speciale». Logico, parliamo di ben nove stagioni, dal 1978 al 1987, il mio intero periodo con l’Olimpia Milano. Un legame che dura così tanto diventa importante. Ma sono io che devo ringraziare Mike per ciò che ha fatto per me, un debito che non potrò mai ripagare.
Che cosa ho fatto io per D’Antoni? Ho creduto in lui, al 100 per 100, sin dall’inizio. Non ho mai avuto un dubbio su di lui, anche quando era infortunato. Anzi, quel primo anno, quello della «Banda Bassotti», quando Mike ha subito una frattura da stress al piede sinistro nella primissima gara, gli ho detto, al rientro: «Mike, non ti chiedo punti o miracoli; ti chiedo soltanto di stare bene. Con te faremo strada». Ogni giocatore capisce quando il suo coach ha fiducia cieca in lui.
Che cosa ho fatto io per Mike? Gli ho dato le chiavi della macchina. Era l’allenatore in campo. Aveva un grande «feeling» sull’andamento della partita. Ho ascoltato anche il suo parere in diversi time-out e raramente ha sbagliato. Gli ho raccomandato, se fosse arrivato alla linea di tre punti in contropiede e smarcato, di tirare. Il nostro contropiede micidiale è nato perché Mike sapeva sempre scegliere fra quel tiro o un passaggio a un compagno. Un computer umano.
Che cosa ha fatto Mike per me? Oh, fin troppo facile! Come dico sempre: «Mi ha fatto diventare un allenatore vincente». Ho perso il conto delle partite vinte da Mike con un tiro allo scadere del tempo: contro Pesaro, a Milano, per lo scudetto, nel 1981-82; con tre tiri liberi contro la Juve Caserta, a Milano, per lo scudetto del 1986-87; contro l’Enichem a Livorno nel 1988-89, dopo uno 0-9 al tiro fino a quel momento. Sono tre esempi tra un’infinità di casi.
Che cosa ha fatto Mike per me? Ancora, troppo facile! Anche qui, come dico sempre, «Mi ha semplificato la vita!». Vuol dire dentro il campo, in partita, e fuori, con la squadra. Gli inserimenti non facili di Antoine Carr, Joe Barry Carroll e Bob McAdoo sono stati resi semplicissimi grazie a Mike e Laurel D’Antoni, due persone davvero eccezionali. Quindi, non è Mike che deve ringraziare me, al contrario. Well, thanks, Mike, for everything! And congratulations, coach!
di Dan Peterson (La Gazzetta dello Sport di mercoledì 28 giugno 2017)

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