«Preventivabile». E’ la prima parola che Stefano Mei associa alla disfatta dell’atletica italiana sulla pista e sulle pedane di Londra. L’ex mezzofondista, campione d’Europa nei 10.000 nel 1986 a Stoccarda, oggi presidente degli Olimpici e Azzurri d’Italia, è stato sconfitto da Alfio Giomi nel novembre scorso a Ostia nelle elezioni per la presidenza della Fidal, sfiorando il 40 per cento dei consensi.
Mei, perché preventivabile?
«Perché i problemi sono profondi. E sono di natura prima geopolitica e poi tecnica. E non vorrei che si cercasse un capro espiatorio per far finta di risolvere tutto così. Il c.t. Locatelli avrà le sue colpe, ma e’ stato chiamato a gennaio con una struttura tecnica preconfezionata, in una situazione di potenziale antagonismo, con Stefano Baldini, con questa divisione di responsabilità sugli Under 25 che non si è mai capita bene. Qui il problema non è un cambio di figurine».
Con lei presidente che cosa sarebbe cambiato?
«Bisogna avere il coraggio di fare delle scelte. Decidere sulla base dei curriculum, non del contentino alla tale regione o a quell’altra. Se uno è bravo è bravo. E punto su di lui. Magari meno tecnici, che però possano fare il loro lavoro e guadagnare come meritano. Frammentare tutto in mille figure non serve».
Ma abbiamo tecnici italiani all’altezza?
«Io dico di sì. Dico anche che è giusto che si vada all’estero per aggiornarsi. Sono contrario invece ai tecnici stranieri. E soprattutto a questi stage all’estero che non servono a niente. Quando c’erano soldi da buttare li si faceva, magari si andava a Città del Messico per sperimentare l’alta quota. Ora no, che ci vai a fare otto mesi negli Stati Uniti, se vuoi stare in raduno permanente te ne vai a Formia».
L’altro problema: Formia. O Tirrenia. Da una parte sarebbe il modo migliore di una riorganizzazione tecnica, il nuoto con Ostia e Verona insegna. Dall’altra si fa una fatica bestiale a convincere gli atleti a tornare in quei posti, che pure sono la storia delle nostre vittorie.
«Intanto l’atleta deve avere delle certezze. Deve sapere che in quei luoghi avrà i suoi punti di riferimento migliori, andrà certamente a stare meglio. Poi non si può obbligare nessuno…però la federazione ha tutto il diritto di dirti che un certo tipo di assistenza l’avrai solo a determinate condizioni».
Bisognerebbe parlarne anche con i gruppi sportivi militari.
«Allora, il problema c’è. Vogliamo affrontarlo senza pregiudizi? Si può cercare di disegnare un ruolo diverso per queste società? Prendetela come una provocazione: ma se le Fiamme Gialle, dico a caso, reclutassero nei salti, le Fiamme Oro negli Ostacoli, l’Esercito nel mezzofondo o l’Aeronautica nei lanci… si rafforzerebbe il legame atleta-gruppo. Lasciando tutta alle società civili la ribalta dei societari. Ripeto: è un’idea, ma qualcosa deve cambiare».
Deve cambiare forse anche il modo dell’atleta di porsi di fronte a una delusione o a una sconfitta…
«Va bene, gli atleti hanno meno “fame” di quanta ne avevamo noi. Ma che parole vuoi che usi un atleta un minuto dopo la gara, nel pieno della delusione? Non tutti possono dire: ho fatto schifo. Ci sono anche differenti modi di reagire. Ma il problema, anche qui, è quello di avere tecnici che sappiano educare alla migliore risposta di fronte a una prova negativa».
Mei, comunque in questi mesi c’era in consiglio federale anche un’opposizione, figlia della sua candidatura. Che cos’ha fatto?
«Premettiamo che hanno avuto un ruolo difficile. La scelta non è stata quella di un’opposizione pura e dura. Così però un giorno rischi di passare per disfattista e l’altro per traditore. Delle cose, però, per esempio sull’aspetto della trasparenza, sono state fatte».
E ora che succede?
«Credo si possa e si debba chiedere al presidente un’assunzione di responsabilità per quanto è successo, fino al punto di trarre delle conclusioni».
Dimettendosi?
«Se si ama l’atletica e si capisce di non essere più in grado di guidarla, perché no? Giancarlo Abete, all’indomani del Mondiale di calcio 2014, lo fece».
L’atletica, però, è un posto diviso, spesso lacerato. Non c’è il rischio di una sorta di campagna elettorale permanente che avveleni ancora di più l’ambiente?
«Io penso sia arrivato il momento di fare delle scelte su basi meritocratiche. Credo che anche il CONI possa e debba esercitare un suo ruolo, l’atletica è fondamentale per ogni sistema sportivo, dobbiamo fermare la caduta».
di Valerio Piccioni (La Gazzetta dello Sport di sabato 19 agosto 2017)
I club militari non danno voce agli atleti
Sull’atletica italiana è calata la mannaia? Sembrerebbe proprio di sì a giudicare dalle risposte raccolte da parte dei personaggi che avrebbero dovuto rappresentare la «difesa» nel dibattito aperto dalla Gazzetta da tre giorni dopo la disfatta dei Mondiali di Londra. Proprio così: in questo spazio ci sarebbe dovuta essere l’intervista al presidente della Fidal Alfio Giomi o a uno dei 36 atleti che hanno rappresentato l’Italia ai Mondiali. Il numero 1 della Fidal, con la massima gentilezza, ha declinato l’invito chiedendo qualche altro giorno di riflessione per un’analisi più a freddo. Ma quello che ha colpito di più è stato l’atteggiamento delle Società militari, che pure non disdegnano le citazioni sui giornali.
Divieto Certo, non abbiamo interpellato uno a uno tutti gli azzurri ma i prescelti (protagonisti di prestazioni negative a Londra) si sono divisi in due categorie: quelli che non se la sono sentita di parlare e quelli che hanno detto di sì, ma poi sono stati fermati dalle società militari. La trattativa in certi casi sembrava andata a buon fine, con tanto di autorizzazione superiore, ma poi è arrivato il divieto. Non vogliamo chiamarla censura ma sta di fatto che nell’atletica italiana una chiusura così blindata non si era mai vista. Ovviamente non si era mai vista neanche una squadra così scarsa ai Mondiali ma eravamo convinti che l’atletica avesse al suo interno gli anticorpi culturali per non copiare i difetti del calcio: «Parlate male di noi? Allora non vi rispondiamo». Sì, l’Italia oggi somiglia a quei club ben più popolari che gravitano attorno al pallone: un silenzio stampa non si nega a nessuno.
Militari Capiamo che i club militari si sentano toccati nel vivo dalle critiche arrivate dai campioni del passato ma ci è sembrato che il dibattito abbia mantenuto un clima civile. L’atletica deve capire che si può andare in prima pagina per una manifestazione ben riuscita come gli Europei juniores di Grosseto ma anche per un’inchiesta che, per il bene comune, cerca di scavare nelle problematiche che impediscono di crescere. Sullo sfondo resta il Coni che non ha ancora preannunciato nessun intervento: c’è qualcuno che vuole ancora il bene della Regina dei Giochi?
di Fausto Narducci (La Gazzetta dello Sport di sabato 19 agosto 2017)
Bruno ed Alice sul podio a Roncadelle
Buona prova per gli Yama-Esordienti che, nel Trofeo Italia disputato sabato e domenica a Roncadelle, hanno riportato un primo posto con Bruno de Denaro, un