Gazzetta 20082017

Tamberi non ci sta «Italia, va allenata anche la grinta»

Gianmarco Tamberi non si tira mai indietro. Non si è tirato indietro a Londra quando, a poco più di un anno dall’infortunio che l’ha privato dell’Olimpiade di Rio, ha stretto i denti per strappare un 2.29 che in 14 edizioni iridate su 16 gli avrebbe dato la qualificazione (qui svanita a 2.31); e non si tira indietro neanche adesso alla vigilia del ritorno in pedana a Birmingham mentre alle sue spalle divampano i fuochi incrociati di un dibattito che sta lacerando l’atletica azzurra. Messaggio a chi non vuole capire: se si ritiene che un campione oltre alle gambe sappia usare anche la testa non c’è silenzio stampa che tenga. E quelle di Gianmarco Tamberi sono parole d’oro.
Allora Gianmarco, cominciamo da Birmingham. La sua penultima gara dell’anno, a casa Grabarz…
«Sì, qui c’è uno dei centri di allenamento dell’alto britannico dove lavora Grabarz che insieme al campione mondiale Barshim, Ghazal, Mason e Drouin sarà il mio avversario in gara. Ma non darò molto peso al risultato: ero sul punto di rinunciare a questa gara e a quella di Zurigo ma poi ho voluto mantenere gli impegni. La verità è che a Londra ho scaricato tutte le energie nervose che avevo e ora sono più proiettato all’anno prossimo. Diciamo che qui farò le prove generali per i Mondiali indoor 2018 che si disputeranno proprio in questa città».
A Londra nella stessa squadra non si è vista la grinta che ha mostrato il capitano. Stanno piovendo tante accuse per il comportamento della squadra.
«Sì, a Londra credo di aver dato proprio il massimo. Lì mi sono disperato ma a freddo posso dire di essermi comportato bene. Invece ho sofferto per i risultati della squadra e per le accuse un po’ ingiuste che arrivano ora. Io ho una mia idea delle cose. A Londra abbiamo visto il passato dell’Italia e il presente sarà il futuro: basta guardare i giovani in arrivo per capire che non ci sarà mai più un’altra Londra».
Ma si sarà dato una spiegazione per il fatto che di Tamberi se ne sia visto solo uno o quasi…
«Sì, ma è colpa del sistema non degli atleti. Gli atleti li assolvo tutti, non si può pensare che uno vada al più importante appuntamento dell’anno per non dare il massimo. E’ chiaro che c’è qualcosa che li ha bloccati».
Che cosa?
«Vi faccio un esempio. Alessia Trost prima di venire ad Ancona si allenava molto di più ma ora alla fine di ogni seduta è distrutta. Perché? Perché con mio padre alleniamo anche il sistema nervoso, lo portiamo al massimo della sua potenzialità. Ma è uno stress terribile. Per me ogni allenamento è una gara, ogni volta che corro i 60 corro per migliorare il mio record personale. In questo modo quando arriva veramente la gara per me è normale dare tutto, i miei nervi sono tesi al massimo dello sforzo».
E’ un sistema esportabile anche in altre piazze in Italia?
«Questo non lo so. Io faccio l’atleta non il dirigente o l’allenatore ma si può provare ad allenare la grinta. Certo la grinta fa parte del carattere ma anche di come avviene l’approccio alla gara. Io l’ho coltivata gareggiando molto all’estero, confrontandomi con i migliori della specialità. Questo per il resto della squadra onestamente avviene poco: ecco perché quando poi arriva la gara importante ci si trova impreparati. E’ chiaro che a Londra tutti hanno corso per fare il personale ma erano impauriti dall’evento e dal peso dei rivali. Certo, anche a me sarebbe piaciuto andare a fare gli Assoluti di Trieste perché mi piace raccogliere l’affetto del mio pubblico. Ma ho pensato che sarebbe stato più utile andare a raccogliere quattro schiaffi a Parigi e poi in altri meeting internazionali. E avete visto, a Londra i miei nervi erano pronti all’impegno».
E, per concludere, a che punto sono i postumi dell’infortunio?
«Bene per fortuna. Non ho più dolori e anche gli impedimenti nei movimenti della caviglia lasciati dalla seconda operazione sono praticamente passati. Non sono al 100 per 100 ma quasi: sono molto fiducioso per il mio futuro. L’anno prossimo tornerò ai livelli del mio primato italiano».

 

ATLETICA IN CRISI, TANTO DA CAMBIARE 
C’era il capitano Schettino e c’è capitan Tamberi. C’è chi abbandona la barca alla deriva per mettersi in salvo e chi rimane a bordo fino a quando l’ultima barca di salvataggio non ha preso la via di terra. Sulla barca alla deriva dell’atletica italiana — mai così priva di timone — ormai non vorrebbe più prendere posto nessuno. I Capitani Coraggiosi lasciamoli alle canzoni di Claudio Baglioni e Gianni Morandi perché ci vuole tutto il «pensiero positivo» del saltatore di ferro Gianmarco Tamberi per guardare al futuro dell’atletica azzurra con fiducia. Nell’ultima puntata dell’inchiesta Gazzetta sul disastro di Londra, il peggiore della storia dell’atletica azzurra, il primatista italiano dell’alto dice una frase significativa: «A Londra c’era il passato, il presente è il futuro». Tamberi è la dimostrazione vivente che i silenzi stampa di ispirazione calcistica sono un’eresia in un mondo libero e di elevato spessore culturale come quello dell’atletica. Una serie di considerazioni finali.
Il presidente Alfio Giomi sta vivendo un momento difficile ma conosce l’atletica da sempre ed è una persona intelligente. Probabilmente sta aspettando il confronto con il Consiglio per manifestare le sue decisioni future: sicuramente non si dimetterà ma speriamo che a tre anni dalla conclusione del suo ultimo mandato trovi il modo da non uscire da sconfitto. Riaprire i centri federali (magari uno per settore) e imporre la partecipazione obbligatoria a chi vuole vestire la maglia azzurra secondo noi dev’essere il primo punto all’ordine del giorno.Opposizione: non si capisce perché con un bilancio in rosso non sia stata «pura e dura» per usare le parole del candidato presidenziale a cui fa capo, Stefano Mei. Anziché astenersi si poteva combattere dall’interno per denunciare la situazione. Cosa c’era da perdere?Locatelli: secondo noi è un capro espiatorio. Gli è stata mollata la patata bollente e lui non ha esitato a mettere in gioco il suo prestigio conquistato in tanti anni di onorata militanza. Persa la carta Baldini, che aveva un progetto ambizioso ma oneroso, era difficile provare una strada alternativa. Ma ora come ora sarebbe difficile trovare nomi di prestigio disposti a subentrare.Militari: secondo la denuncia televisiva di «Report» in Italia ci sono 1182 atleti nei Gruppi Sportivi quindi pagati dallo Stato. Di questi circa 300, escludendo i componenti delle squadre che sono civili, hanno partecipato alle ultime Olimpiadi estive e invernali. Gli altri 900? Per come è impostato lo sport italiano non si può rinunciare all’attività militare a meno di provocare il tracollo di tutto il sistema che fa capo al Coni. Però ha ragione Gibilisco: creiamo un processo virtuoso con verifica biennale di chi è all’altezza e gli altri tornino al servizio regolare. Così si dimezzerebbero gli oneri dello stato e raddoppierebbero le motivazioni.Modelli: quello più vicino è l’Insep francese che pure è criticatissimo in casa propria perché nella squadra transalpina solo una medaglia di Londra (Bosse) viene da lì. E’ evidente che bisogna rimettere mano al sistema scolastico ma dire che la crisi italiana viene dalla scuola è un alibi. Nonostante tutto l’attività di base (almeno in certe regioni) resiste e le squadre giovanili vanno alla grande. Il problema semmai è la gestione del passaggio all’attività assoluta.In tutto questo aspettiamo ancora di vedere cosa farà il presidente del Coni, Giovanni Malagò.
 
Fausto Narducci (La Gazzetta Sportiva, 20 agosto 2017)

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