Due anni e un mese dopo, le urine di Alex Schwazer hanno fatto il viaggio inverso: dalla Germania all’Italia. Ma quella che doveva essere una semplice formalità, si è trasformato nell’ennesimo scontro giuridico col rischio concreto di allungare all’infinito una telenovela che si trascina da tempo tra rogatorie, sentenze, diffide, dinieghi e richieste di precisazioni. Prima di raccontare l’ultimo colpo di scena, partiamo dal finale: ieri il laboratorio di Colonia ha messo a disposizione del colonnello Giampietro Lago, il comandante dei Ris di Parma incaricato dal Gip di Bolzano, la pipì dell’altoatesino. La stessa raccolta il primo gennaio 2016 dagli ispettori Iaaf e risultata positiva agli steroidi in un secondo controllo antidoping effettuato nella primavera successiva. La «non negatività», comunicata a ridosso dell’Olimpiade di Rio, costò a Schwazer (recidivo) la squalifica di 8 anni nell’udienza Tas svolta proprio in Brasile.
BATTAGLIA Da allora è iniziata la battaglia legale del marciatore, difeso dall’avvocato Gerhard Brandstaetter, e del suo allenatore, Sandro Donati. Entrambi convinti della manipolazione delle provette finalizzata a incastrare il marciatore. Ecco perché l’esame del Dna sulle urine è un tassello fondamentale, ma nonostante la nuova inchiesta penale condotta dalla Procura di Bolzano (ipotesi frode sportiva di Schwazer), per oltre un anno le provette sono risultate inavvicinabili alle autorità italiane. Ora i Ris potranno finalmente effettuare tutti i test chiesti dal Gip Pelino. I tempi? Ci vorranno delle settimane prima che i periti siano convocati, ma d’ora in avanti il caso Schwazer camminerà spedito verso il traguardo.
PROVETTA APERTA «Avevo deciso di restare in Italia, sembravano impossibili altri contrattempi. Per fortuna sono andato a Colonia…». L’avvocato Brandstaetter spiega alla Gazzetta quello che è accaduto. «Si sono presentati con un campione B aperto, richiuso alla meno peggio e assolutamente inaffidabile. Il colonnello Lago si è irrigidito, ha fatto presente che serviva il vero flacone B. Come disposto dalla magistratura tedesca dopo l’ennesima sollecitazione dall’Italia. Niente. L’avvocato della Iaaf si è opposto: “Questo oppure niente”. A quel punto ho minacciato un’azione legale verso il laboratorio e ho chiamato il giudice Pelino. E’ rimasto esterrefatto dalla nuova giravolta, spiegando poi a Lago di non ritirare nulla e chiedendo la firma del laboratorio sul verbale. L’incaricato dell’istituto, forse smosso dal rischio causa, ha infine cambiato idea, nonostante la netta opposizione Iaaf. Così ha preso la provetta B sigillata e tenuta a -20 gradi. E sono stati eseguiti i prelievi previsti. Solo allora abbiamo constatato l’ultima beffa: avevano sempre detto che c’era poca urina. Dopo tanti tira e molla, ci siamo accontentati di 6 millimetri dal campione B e 9 da quello A. E invece la pipì presente era forse 15 millimetri. Come si fa a non pensare male?».
Francesco Ceniti, La Gazzetta dello Sport di giovedì 8 febbraio 2018
BATTAGLIA Da allora è iniziata la battaglia legale del marciatore, difeso dall’avvocato Gerhard Brandstaetter, e del suo allenatore, Sandro Donati. Entrambi convinti della manipolazione delle provette finalizzata a incastrare il marciatore. Ecco perché l’esame del Dna sulle urine è un tassello fondamentale, ma nonostante la nuova inchiesta penale condotta dalla Procura di Bolzano (ipotesi frode sportiva di Schwazer), per oltre un anno le provette sono risultate inavvicinabili alle autorità italiane. Ora i Ris potranno finalmente effettuare tutti i test chiesti dal Gip Pelino. I tempi? Ci vorranno delle settimane prima che i periti siano convocati, ma d’ora in avanti il caso Schwazer camminerà spedito verso il traguardo.
PROVETTA APERTA «Avevo deciso di restare in Italia, sembravano impossibili altri contrattempi. Per fortuna sono andato a Colonia…». L’avvocato Brandstaetter spiega alla Gazzetta quello che è accaduto. «Si sono presentati con un campione B aperto, richiuso alla meno peggio e assolutamente inaffidabile. Il colonnello Lago si è irrigidito, ha fatto presente che serviva il vero flacone B. Come disposto dalla magistratura tedesca dopo l’ennesima sollecitazione dall’Italia. Niente. L’avvocato della Iaaf si è opposto: “Questo oppure niente”. A quel punto ho minacciato un’azione legale verso il laboratorio e ho chiamato il giudice Pelino. E’ rimasto esterrefatto dalla nuova giravolta, spiegando poi a Lago di non ritirare nulla e chiedendo la firma del laboratorio sul verbale. L’incaricato dell’istituto, forse smosso dal rischio causa, ha infine cambiato idea, nonostante la netta opposizione Iaaf. Così ha preso la provetta B sigillata e tenuta a -20 gradi. E sono stati eseguiti i prelievi previsti. Solo allora abbiamo constatato l’ultima beffa: avevano sempre detto che c’era poca urina. Dopo tanti tira e molla, ci siamo accontentati di 6 millimetri dal campione B e 9 da quello A. E invece la pipì presente era forse 15 millimetri. Come si fa a non pensare male?».
Francesco Ceniti, La Gazzetta dello Sport di giovedì 8 febbraio 2018