Tortu, l'evoluzione del ragazzo normale

Lontano dagli occhi, ma non dal cuore: senza diretta tv, senza i clamori del grande meeting, Filippo Tortu è entrato ieri nel magico club dei «meno 10 secondi» nei 100 metri. Ci sono date (come il 22 giugno 2018) che entrano di diritto nella storia dello sport e ci sono numeri, legati a quelle date, che appartengono all’evoluzione dell’uomo. Forse esageriamo ma il 9”99 di Filippo Tortu — un ragazzo brianzolo di vent’anni che a guardarlo non ha niente a che fare con l’immaginario dell’uomo veloce afroamericano — non rappresenta solo una tappa importante per lo sport italiano, ma rientra nell’evoluzione della nostra scuola. Badate bene: Tortu è solo il terzo bianco dopo il francese Lemaitre e il turco Guliyev ad abbattere la barriera dei 10” di fronte alla quale si era arreso perfino il mito Pietro Mennea.
Il barlettano alla vigilia del record mondiale dei 200 metri di 19”72 (che è tuttora il più importante risultato cronometrico dell’atletica italiana), nel ‘79 a Città del Messico approfittò dell’altitudine di oltre duemila metri e del vento favorevole (+0,9) per avvicinarsi alla fatidica barriera, ma si fermò a 10”01. Ci sono voluti quasi quarant’anni per trovare in Italia un uomo capace di prendere a spallate quella cifra metafisica, c’è voluto un ragazzo non ancora ventenne di origine sarda per inserire nella lista all time italiana prima un 10”03 a Savona e poi un 10”04 a Roma. L’occasione è arrivata ieri, inizialmente in sordina, poi sempre più annunciata dalle stesse parole del protagonista che ha una chiara consapevolezza dei propri mezzi. «A Madrid posso scendere sotto i 10”», aveva sussurrato con modestia, ma con determinazione spalleggiato dal padre-allenatore Salvino e così è stato. Certo a Madrid c’erano circostanze eccezionali con una pista velocissima, l’aria rarefatta della mezza collina e la tranquillità di un meeting di secondo piano. Non c’era però la diretta tv e questa è stata sicuramente un’occasione sprecata per le emittenti che avrebbero potuto entrare facilmente in contatto con la federazione spagnola. A ora di cena (alle 20 in punto) una semifinale vittoriosa in 10”04 ha annunciato ai pochi eletti che

hanno potuto vedere la gara in streaming che Tortu «c’era»; alle 21.23, in leggero ritardo sul programma, è arrivato il secondo posto alle spalle del cinese Su Bingtian (9”91) che ha portato Tortu nella storia.
Non è tanto il colore della pelle a rendere straordinaria l’impresa, ma la struttura da normodotato dell’azzurro. Tortu, pur essendosi rinforzato muscolarmente, non ha niente a che fare col longilineo Bolt, ma neanche con i velocisti ipertrofici, alti o piccoli che siano, capaci finora di scendere sotto la soglia che distingue gli «umani» dai «marziani». Filippo, più che a Mennea, ama paragonarsi all’olimpionico di Roma ‘60 Livio Berruti, ma in realtà si colloca a metà fra questi due punti di riferimento dello sprint azzurro. Quale sia il segreto della sua velocità fuori dal normale è difficile dirlo: partenza e accelerazione sono ovviamente eccellenti, ma apparentemente non sembrano spiegare la facilità con cui Filippo è cresciuto negli anni mantenendosi in questa stagione nell’elite mondiale. L’impressione è che il primato di Tortu parta essenzialmente dalla testa, dalle sue certezze e dalla sua capacità (questa sì incredibile) di dividersi fra allenamenti e studio, con una vita così simile a quella dei coetanei. In questo sì diverso dall’abatino Berruti e dallo stakanovista Mennea. Filippo ragazzo normale ieri ha riscritto la storia dello sport italiano.
Fausto Narducci – La Gazzetta dello Sport di sabato 23 giugno 2018

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