Immaginate questa scena: siete dal panettiere, attendendo il vostro turno. Dalla porta entra una persona qualunque che va a prendere una forma di pane dal bancone, sorride e se ne esce. Senza pagare. Mai vista e sentita, vero? Bene, negli ultimi 10-15 anni, da quando cioè la rivoluzione di Internet e degli smartphone si è completata, questa è la norma nel campo dell’informazione e della creazione artistica. Un sistema fondato sul furto dei contenuti che arricchisce poche gigantesche multinazionali del web e mina alla radice la libertà di stampa. Ecco perché il voto dell’Europarlamento di mercoledì, con nuove norme sul copyright che intendono porre fine alla giungla delle ruberie, è molto importante per tutti.
Ne parlo qui oggi perché anche la vostra e nostra Gazzetta viene dissanguata ogni giorno da queste sanguisughe, magari inconsapevoli. Del resto, la Rosea occupa uno spicchio d’informazione qualificata, spesso nell’interesse sociale. Su questo giornale avete letto, in 122 anni di storia, anche campagne contro sistemi di malaffare nel mondo dello sport, il doping, la slealtà, la violenza. Senza enfasi, ci sentiamo, insieme con voi, baluardo di un’attività umana che è da millenni al centro della cultura universale e scopre ogni momento una nuova valenza, vedi quelle educativa e sanitaria. Tutto questo, come quella forma di pane, ha un costo: generazioni di giornalisti, tecnici e operai hanno vissuto e vivono onestamente per garantire un flusso d’informazioni e di opinioni, nel nostro caso sportive, verificate e oneste. Non trasmettiamo solo emozioni, ma anche valori e vorremmo continuare a farlo.
Che questo tipo d’informazione possa essere gratuita è un’illusione che tutti dobbiamo toglierci al più presto. Nixon, l’uomo più potente del mondo, non sarebbe stato sbugiardato e costretto a dimettersi se il Washington Post non avesse pagato per mesi e mesi gli stipendi ai coraggiosi giornalisti del Watergate. Con i media si può dissentire: è sano. Ma rinunciarvi espone a prospettive buie, se non terrificanti: le dittature, né più né meno. Peraltro i grandi aggregatori come Google, Facebook e Youtube stavano per segare il poderoso ramo su cui sono appollaiati, prosperando: a forza di rilanciare contenuti prodotti da altri senza pagare, immiserendo i media, si sarebbero trovati presto in mancanza della materia prima. Come la pesca fuori controllo che desertifica i mari. L’informazione senza filtri è una melassa indistinguibile in cui ciascuno si costruisce il proprio complotto a piacimento. Inventando notizie e nemici, svillaneggiando la scienza, seminando l’odio. E’ il mercato, cioè il pubblico, a decidere quali iniziative giornalistiche debbano proseguire e quali no. Ma dev’essere un mercato regolato da norme oneste, non attraversato da predoni e pirati, con le vele gonfiate dal vento di miliardi di dollari. Il voto dell’Europarlamento è stato il primo passo di un iter lungo e complesso: spero che ciascun lettore senta propria questa battaglia.
Avrete letto spesso (magari in diverse versioni) questa frase attribuita a Bertolt Brecht, ma in realtà originata da un sermone del pastore protestante Martin Niemoeller, sopravvissuto ai lager nazisti: «Prima di tutto vennero a prendere gli zingari. E fui contento perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei. E stetti zitto, perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti, ed io non dissi niente, perché non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me, e non c’era rimasto nessuno a protestare». Ecco, finché esisterà un giornalista libero che possa esprimersi, qualcuno protesterà ancora. E servirà.
di Franco Arturi
Rubrica Porto Franco, da La Gazzetta dello Sport di venerdì 14 settembre 2018
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