"Non amo guardarmi indietro, preferisco guardare a quello che farò"

Buon compleanno grande Ezio! Con una bella e spigliata intervista te lo augura il Corriere della Sera per i 60 anni che compirai domani. Ovviamente ci uniamo agli auguri e rilanciamo l’intervista perchè dopo aver trascorso una giornata in un palazzetto in cui il tuo nome è girato così tante volte sulla bocca di così tante persone che almeno una avrebbe dovuto, anche per caso, avvicinarsi a qualche ipotesi reale. E invece niente, parole, parole, solo parole al vento senza un aggancio con la realtà. Forse per esorcizzare paure, o forse solo per dire un’altra ‘scemenza’ che, alla fine, a tutti sarebbe piaciuto rimanere bambini. O meglio, atleti. E come tali poter essere particolarmente scemi. In senso buono, ben inteso. Tanti auguri Ezio.

«Per la prima volta da 13 anni festeggio in famiglia. Ho tanti progetti: il primo è l’Olimpiade di Tokyo, che sarà la mia undicesima, la settima da tecnico»

Ha vinto praticamente tutto sia da atleta che da tecnico, con una menzione speciale per la medaglia d’oro conquistata alle Olimpiadi di Mosca nel 1980. Domani Ezio Gamba, nato a Brescia il 2 dicembre 1958, compie sessant’anni, ma ha la voce e l’energia di quando, non ancora diciottenne, vinceva l’argento mondiale a Madrid. È adrenalina pura, voglia di lavorare, scoprire, migliorare sotto qualsiasi punto di vista. Vive per il judo, sport a cui ha dedicato e continua a dedicare tutto se stesso, anima e corpo. Lo sport ringrazia e lo esibisce come un monumento, una leggenda vivente che continua a scrivere pagine di storia dell’arte marziale giapponese.
Gamba, come valuta i suoi primi sessant’anni?
«Sono passati velocemente, ma io non amo guardarmi indietro: quel che ho fatto si sa già e non mi piace promuoverlo. Preferisco guardare a quello che farò».
Quindi cos’ha in programma per il futuro?
«Il mio primo progetto è l’Olimpiade di Tokyo, che sarà la mia undicesima, la settima da tecnico. Il secondo è l’attività di mio figlio, che fa judo ed è stato preso a Roma nella Scuola Allievi Carabinieri. Ma in generale è un progetto legato alla mia famiglia. Mia moglie Luisa è con me dal ’79, quindi abbiamo già diviso due terzi di vita insieme. Lei mi aiuta e mi sostiene in tutto quello che faccio ed è impegnativo, perché io sono via trecento giorni all’anno. Poi c’è mia figlia Sofia, che spero di accompagnare verso i suoi sogni. Ma ci sono anche tanti progetti collaterali che sto seguendo».
Almeno un giorno libero pensa di concederselo per il compleanno?
«Questo è il primo compleanno che festeggio con la mia famiglia negli ultimi tredici anni. In questo periodo c’è sempre stato il Grand Slam di Tokyo a cui non sono mai mancato, ma quest’anno è stato anticipato di una settimana. Ora sono a Kaunas per il congresso dell’Unione Europea Judo. Domenica mattina parto per Roma con scalo a Kiev e festeggio con mia moglie e i miei figli».
Sembra molto più impegnato ora rispetto a quando era un atleta…
«È un modo diverso di essere impegnato. Un atleta di alto livello è un po’ scemo, ma in senso buono. Io sono stato particolarmente scemo, perché ero concentrato solo sull’idea di diventare il migliore. E questa cosa agli occhi degli altri ti fa un po’ sembrare un disadattato. Oggi riesco a vedere le cose in maniera più rilassata e matura».
È apparso pubblicamente diverse volte assieme a Putin, che ha sempre parlato bene di lei. Come procede il suo percorso in Russia?
«Da quando ho iniziato a lavorare in Russia, ho un’attività molto serena. Dopo il primo incontro col presidente Putin, in cui ho precisato quali fossero i miei obiettivi e le metodologie, non ho mai trovato ostacoli. Una volta deciso che fossi l’uomo giusto, non mi ha mai messo in discussione. Poi ho portato la squadra russa a essere la più forte al mondo e il presidente l’ha sempre riconosciuto pubblicamente».
Si stuferà mai di essere lontano da casa trecento giorni all’anno?
«Per ora riesco a parare i colpi nonostante la fatica i continui cambi di fuso orario, i voli e lo stress. Abbiamo tantissime competizioni nelle quali io sono costantemente sotto stress, ma reggo. E finché reggo, vado avanti».
E Brescia non le manca?
«Brescia è la mia isola. Quando sono libero, anche se solo per un giorno, parto per Brescia, perché lì ci sono la mia famiglia, i miei amici storici»
I 60 anni sono un traguardo importante. Se si guarda indietro, chi sente di dover ringraziare?
«Ci sono quattro persone fondamentali. Mia madre e mio padre, che vengono prima di tutti, e Masami Matsushita, l’uomo che ha aperto le prospettive del judo all’Italia e ho incontrato quando avevo sedici anni. Poi direi Vittoriano Romanacci, perché quando ho iniziato ad allenare la nazionale italiana ha cambiato la mia visione circa la preparazione fisica nel judo».
Non le piace celebrare il passato, ma non può non esserci un ricordo che più spesso di altri la torna a trovare…
«Posso dire solo che l’emozione provata dopo aver vinto un oro olimpico non è nulla in confronto alla gioia che mi ha sommerso quando ho visto nascere i miei figli».
di Davide Zanelli
Corriere della Sera (Cronaca di Brescia), 1 dicembre 2018

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