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Scuole e famiglie alleate: stop agli smartphone prima dei tredici anni

Bambini troppo distratti da cellulari, genitori ancora impreparati per affrontare social network e applicazioni? Un prima risposta ai dubbi e alle perplessità di tanti genitori, arriva da Gemona con il “Patto di comunità per il benessere digitale”, contro un uso troppo precoce dello smartphone. L’obiettivo è promuovere fra i genitori un uso limitato di smartphone e simili tra i loro figli, almeno fino al limite di età consentito dalle leggi. L’iniziativa formativa è promossa dall’associazione Media Educazione Comunità (Mec) e trova il coinvolgimento dell’istituto comprensivo di Gemona, della scuola paritaria Santa Maria degli Angeli, dell’associazione genitori di Piovega, l’associazione genitori Sante Striche, e la Rete B*sogno d’esserci. L’obiettivo è coinvolgere direttamente le famiglie nell’impegno a evitare che i loro figli utilizzino lo smartphone prima dei 13 anni, all’inizio della seconda classe della scuola media. Proprio per questo, Mec sta organizzando delle serate che hanno già visto la nutrita partecipazione di molti genitori: «Abbiamo raccolto – spiega Davide Sciacchitano di Mec – già 55 sottoscrizioni da parte dei genitori, ma puntiamo a superare il centinaio entro settembre. È una richiesta che ci è arrivata direttamente dalle famiglie, le quali spesso sono lasciate sole nella scelta se concedere al proprio figlio la possibilità di avere un cellulare o uno smartphone: pensiamo solo al caso in cui in una classe tutti i bambini hanno uno di questi strumenti, e solo uno di loro no. Di fronte a ciò, i genitori trovano difficoltà a dire di “no” , anche se magari sarebbero più favorevoli a un uso più limitato. Non è una guerra contro le tecnologie, anzi, piuttosto l’invito a usarle con più consapevolezza. È necessario creare un percorso di avvicinamento a questi mezzi per le fasce più colpite dal potere della comunicazione».La proposta formativa di Mec si fonda su dati scientifici dai quali emerge come queste tecnologie “a portata di mano”, se introdotte troppo precocemente e senza le dovute cautele, possono danneggiare il naturale processo di crescita cognitiva, affettiva e relazionale, oltre a contribuire all’aumento dei comportamenti on-line a rischio, e dei casi di cyberbullismo. Dunque, l’impegno dei genitori che sottoscriveranno il “Patto di comunità per il benessere digitale”, sarà quello di far si che i loro figli non abbiano un cellulare fino ai 13 anni, l’età dopo la quale di fatto le normative permettono a un minore di disporre dei nuovi mezzi di comunicazione tecnologica. Insieme alla raccolta delle sottoscrizione, Mec ha elaborato alcune direttive che sta presentando negli incontri in corso con i genitori. Tra queste, oltre al limite sull’uso di smartphone fino ai 13 anni, anche il dovere di comunicare la password ai genitori per permettere loro di effettuare i dovuti controlli, la definizione di luoghi e orari in cui è possibile o meno utilizzare gli smartphone, e il limite all’uso di social network sempre prima di compiere 13 anni. «Dal punto di vista legale e scientifico i cellulari non dovrebbero essere in mano ai ragazzi prima dei 13 anni e la continua accelerazione è dannosa. Lo dicono anche le leggi, che hanno fissato a 13 anni i limiti per Whatsapp – spiega il coordinatore regionale Mec Giacomo Trevisan -. Da soli si cede, è difficile resistere alle tentazioni commerciali lasciando alle multinazionali del digitale la scelta sul benessere dei figli. Gli amministratori delle “big tech” conoscono i dati sui danni ai minori, eppure non si fanno scrupoli, perché il business è troppo grande, non mettono in atto nessuna misura e anzi spingono sui minori con l’idea che tanto nessuno dirà nulla perché le famiglie sono disgregate». Nelle prime due serate di presentazione dell’iniziativa sono già accorsi più di 120 genitori, un segnale che la problematica è sentita. A Gemona, si avvia dunque una modalità nuova per affrontare una problematica molto attuale che può essere affrontata soltanto facendo squadra tra genitori, istituzioni scolastiche, associazioni, e naturalmente i più piccoli che sono testimoni alla sottoscrizione dell’impegno da parte del proprio genitore: «Se la comunità è unita si può arrivare dove la singola famiglia è in difficoltà, grazie alla coesione di una comunità che riesce a condividere delle regole comuni per tutelare i minori nell’ambito del digitale. L’iniziativa – conclude Trevisan -, non intende in alcun modo demonizzare le nuove tecnologie, di cui anzi si riconosce il valore nei giusti contesti didattici, ma semplicemente tutelare i minori dai possibili danni derivanti dall’uso troppo precoce. Nessun vi è alcun giudizio verso le famiglie che fanno scelte diverse, magari dovute a contesti e necessità specifici».

Piero Cargnelutti (Messaggero Veneto – giovedì 13 giugno 2019)

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