Da un mese e mezzo Rocco Sabelli dirige, da presidente e ad, la nuova società che la riforma ha messo al centro del sistema italiano: Sport e Salute.
Ingegner Sabelli, quale valore aggiunto può portare Sport e Salute allo sport italiano? «Partiamo da un dato. L’Italia è un Paese che vince medaglie, e ne vince tante, visto che è stabilmente fra i primi dieci al mondo, ma nella pratica sportiva siamo ventiquattresimi su 28 nazioni censite in Europa».
Per la verità siamo cresciuti quasi costantemente negli ultimi anni. «Ma siamo ancora indietro, possiamo crescere. L’obiettivo di Sport e Salute sarà soprattutto rivolto allo sport di base, come vuole lo spirito della riforma voluta dal Governo. Ma tutto questo vuole produrre un meccanismo virtuoso di cui beneficeranno tutti. Un’operazione win win. Nel nuovo sistema ci saranno più soldi, più soggetti protagonisti, più cose da fare».
Questo vuol dire che la divisione dei contributi fra l’80 per cento assegnato in base ai risultati e il 20 con i numeri di tesserati, società e livello di visibilità, sarà messa in discussione? «Dico che è legittimo interrogarsi su un possibile ribilanciamento a favore di sport nella scuola, sociale, inclusione, benessere. Ma c’è un altro aspetto».
A che si riferisce? «Al miliardo che è nella disponibilità dello sport italiano, dal finanziamento dello Stato ai soldi che la Lega versa alla Federcalcio e di lì a seguire. Sa quanto consuma la “macchina” di questo miliardo? Il 40 per cento. In qualsiasi organizzazione che si rispetti, un dato del genere significa un problema di efficienza. Bisogna riqualificare la spesa, ora tutto o gran parte è spesa corrente, mancano gli investimenti».
Un presidente federale, forse riferendosi al meeting con lei di mercoledì, ha detto: lo sport deve comportarsi come un’azienda, ma non è un’azienda. «Immagino ci si riferisca alle mie competenze. Sì, lo sport non è un’azienda: deve dare emozioni, generare passione, cose belle…. Però va data più efficienza a tutta la macchina e le logiche aziendali ci possono aiutare».
A quella riunione lei non ha chiamato Giovanni Malagò, che ha definito quel mancato invito un «grandissimo errore». «Giovanni Malagò si dovrà abituare a questi cambiamenti. Ne ho parlato con lui, con cui ho un rapporto molto aperto e amichevole. Guardi che quell’esasperata coincidenza del 31 luglio è anche una chiave di lettura, una plastica dimostrazione di ciò che sta cambiando. Il Coni, giustamente, era impegnato con i sindaci e i presidenti di regione per Milano-Cortina, è evidente che il nostro interlocutore sono gli organismi sportivi. Ripeto: bisogna abituarsi a questi cambiamenti».
Almeno avrebbe potuto invitare Carlo Mornati, segretario generale del Coni e membro «aggiuntivo» del suo Cda. «Ma non si è scesi nel merito dei criteri per la distribuzione dei contributi. Rifarei quello che ho fatto».
Intanto diversi presidenti federali lamentano un’assenza di dialogo con lei. «Io sono rispettosissimo della necessità di questo confronto. Ma come facciamo a parlarci senza liturgie ed etichette? Il Consiglio Nazionale, o un’assemblea con 80 persone, è davvero lo strumento ideale per farlo? Forse bisogna trovare un’altra forma, la stiamo cercando».
Nel frattempo lei sta per firmare l’accordo con Malagò per il contratto di servizio che regolerà i «perimetri» di Coni e Sport e Salute. «Lo farò lunedì (domani, ndr)».
Problemi dell’ultim’ora? «Assolutamente no. Capisco il disagio psicologico legato al cambiamento. Non parlerei di trattativa faticosa. Quando ho usato la parola “facile” non volevo banalizzare. Notavo che il quadro era già stato ampiamente definito dalla legge: 40 milioni al Coni, 88 a Sport e Salute, 280 agli Organismi Sportivi ed alle Federazioni. Ora l’accordo è blindato, non manca nulla».
Uno dei punti più controversi è stato il territorio. «Con un mio ordine di servizio più che del chi, mi sono occupato del cosa si fa. Sul territorio c’è un affollamento di soggetti, che qualche volta rischiano sostanzialmente di fare la stessa cosa: cercare i finanziamenti degli enti locali e in parte delle regioni. Non ho visto, però, organicità fra questi vari interventi. Organicità che dobbiamo cercare anche stabilendo nuove regole di ingaggio fra eletti (presidente e giunta) e dipendenti, cancellando quella che a volte si può definire un’area grigia dove non sono chiari ruoli e obiettivi».
E la frattura fra grandi e piccole federazioni? Prendiamo il Parco del Foro Italico: qui ci sono gli Internazionali d’Italia, ma anche il Grand Prix e il torneo giovanile Kim e Liù di taekwondo, che magari non danno redditività però sono uno strumento sacrosanto di promozione di quello sport. Questa forma di mutualità rimarrà nel sistema? «Noi abbiamo degli asset fisici, l’Olimpico e il Parco del Foro Italico. Ma poi ci sono anche asset immateriali, i cui contenuti possono interessare il mondo delle imprese».
Ci faccia capire meglio? «Il broadcasting o lo streaming di eventi anche di sport cosiddetti minori in qualche media company non possono produrre fonti di ricavo? Il digital marketing, anche qui siamo ai primi passi, le banche dati dei nostri tesserati…Tutto questo non può produrre aiuto alla mutualità di cui lei parla? Senza dimenticare Sport e Periferie».
Che ora gestite voi. «Dei primi 100 milioni stanziati della prima tranche, ne sono stati spesi finora soltanto 5-6. Per questo aiuteremo l’ente locale anche nella fase dell’appalto e funzioneremo da stazione appaltante. E per la selezione ci avvarremo di un censimento di 56mila impianti, una forma di geomarketing: che ci dice in quel luogo quale può essere il livello di utilizzo di quella struttura. Ora abbiamo due tranche da 80 e 100 milioni, si tratta di 600-700 interventi da 300-400mila euro. Vogliamo coinvolgere le federazioni, tutti gli organismi sportivi, perché finora i proponenti sono stati solo le amministrazioni locali».
La accusano di essere un «calciofilo e basta». Ma oltre al calcio e alla sua Juve, a lei quale sport piace? «Praticamente tutti. Per me ritrovare con ruoli diversi un Giuseppe Abbagnale, un Michele Maffei, una Novella Calligaris, rappresenta un’emozione. Ho visto Sanzo, il fiorettista, e mi è venuto in mente quel suo togliersi la maschera di scatto in un attimo nel momento della vittoria. Lo sport è un diluvio di cose belle. Da settembre vedrò meno calcio e sposterò tempo sulle discipline minori, vorrei andarle a vedere una per una».
Dicono che lei sia anche un calciatore mancato? «Lasci perdere: modesto difensore centrale in Promozione. Fino a che un giorno l’allenatore mi disse: Sabelli, forse è meglio che studi e si laurei…»
Valerio Piccioni – La Gazzetta sportiva (Domenica, 4 agosto 2019)