È giusto che una società sportiva dilettantistica possa dividersi degli utili? Fino a oggi, la risposta delle norme è stata un categorico no. Da domani potrebbe diventare sì. Almeno a leggere il pacchetto di norme presentate dal ministro dello sport Luca Lotti e inserite nella legge di bilancio, che naturalmente dovrà avere il via libera delle camere. La novità, al di là di come la si pensi sull’argomento, sarebbe clamorosa. Anche dal punto di vista simbolico: nella carta di identità del sistema sportivo italiano, come conviveranno volontariato e profitti?
VANTAGGI FISCALI Ma andiamo con ordine. Quel «senza fini di lucro» vale per tutte e due le «famiglie» dei 145.095 soggetti (dal conto vanno tolti i club professionistici) che agiscono in questo settore in Italia: le Associazioni Sportive Dilettantistiche e le Società Sportive Dilettantistiche a responsabilità limitata. Se i tuoi conti hanno un segno più, i soldi non te li puoi mettere in tasca, non puoi dividerli fra i soci. Anche perché hai diritto a tutta una serie di vantaggi: un regime fiscale agevolato innanzitutto, con la possibilità di collaborazioni «sportive» (tecnici, atleti e quant’altro) esentasse fino a 7500 euro (che le stesse norme si propongono di portare a 10mila).
«LUCRATIVE» Questa specie di do ut des viene messa in discussione dalla riforma Lotti. Nascono le società sportive dilettantistiche «lucrative». La novità raccoglie quanto inserito in una delle proposte di legge presentate in questa legislatura sull’argomento, quella firmata da Daniela Sbrollini, responsabile sport e welfare del Pd. Che difende la misura: «Non vogliamo minimamente intaccare il valore unico del volontariato sportivo e delle decine di migliaia di associazioni sportive dilettantistiche. Ma per quelle realtà che agiscono per fini commerciali, crediamo si debba andare a una regolamentazione per mettere fine all’abusivismo, anche per conquistare un riconoscimento giuridico di alcune professionali. Potrebbe esserci una sorta di jobs act flessibile per lo sport, visto che i preparatori a volte lavorano in impianti diversi». Oggi nello sport, lavorano 117mila persone (dati Istat sul 2015). Il tentativo è quello di allargare il campo. Nel pacchetto, infatti, si prevede l’obbligo per tutte le società «lucrative» della presenza nell’impianto sportivo di un «direttore tecnico» retribuito (diplomato Isef o laureato in scienze motorie). La Sbrollini precisa che la società «lucrativa» non avrà i benefici fiscali dell’Asd, tranne – ma deciderà il ministero dell’Economia in un secondo momento – un abbattimento dell’Iva fino al 10 per cento, «sulla base di quanto succede in Europa».
FORTI E DEBOLI Il partito degli scettici sottolinea che sul vocabolario «dilettantismo» e «utili» non sono proprio parole sorelle. Il rischio è che questo «libera guadagni» concentri un interesse soprattutto verso alcuni pezzi del mondo dilettantistico: grandi centri sportivi, circoli esclusivi, piscine, scuole calcio. Ma il complesso del movimento, cioè i pezzi più deboli – gli sport meno popolari, le società più periferiche – quanto ne beneficerà? Filippo Fossati, ex presidente dell’Unione Italiano Sport per Tutti, oggi deputato di Mdp, è contrario: «In questo modo si cambia il volto dello sport. Prendiamo atto che da ora in avanti chi vorrà dare vita a un’associazione sportiva, non lo farà per vincere i campionati, ma per fare dei profitti». In alcuni enti di promozione, serpeggia un certo malumore. Il discorso è più o meno questo: da una parte ci chiedete tutta una serie di requisiti per essere riconosciuti in base alla legge sul terzo settore come «attività di promozione sociale», dall’altra nel nostro mondo autorizzate gli utili.
ANTICORRUZIONE E il discorso sulle regole, vecchie e nuove, ha riempito la mattinata di ieri al Coni il convegno sulla «governance dello sport». C’era anche Raffaele Cantone, il presidente dell’Autorità Anticorruzione, che ha spinto su un tasto: «Per evitare la corruzione dello sport, bisogna trovare strumenti di autoregolamentazione, anche a prescindere dalle norme giuridiche». Per Giovanni Malagò «il nostro mondo deve dare il buon esempio. Dobbiamo vivere dalla mattina alla sera con un vademecum, e delle regole da rispettare». Ora con un interrogativo in più: quali saranno le nuove regole?
A favore
Juri Chechi: “Svolta positiva, siamo nel 2017. E i valori li fanno le persone”
«Ho letto alcune cose sulle misure “sportive” che fanno parte della Legge di Bilancio e penso che ci siano provvedimenti importanti. Su questa in particolare, la mia opinione è questa: la norma è positiva, bisognerà utilizzarla correttamente, ma sono convinto che lo si farà. Nel 2017, questo nuovo modo di fare società sportiva è inevitabile».
2. Ma non è un po’ sacrificare tutto alla logica del profitto che si mangia anche i valori dello sport?
«Parto dalla mia esperienza: la mia storia nello sport è stata sempre fatta di passione, ho anche guadagnato bene, sono contento di averlo fatto, ma non c’è mai stato un momento, dico uno, in cui il pensiero “economico” è stato prevalente. La differenza la faranno sempre le persone, non il “margine” di guadagno. E lo sport è in grado di difendere i suoi valori. Pensate al calcio: certo è un posto dove si fanno tanti affari, ma in tanti campi del Paese è anche il luogo dove si incrocia tanta passione sportiva».
3. Sì, ma perché cambiare? Crede alla tesi che con la possibilità di fare utili si possa rompere con il lavoro nero in una palestra o in una piscina?
«Non sono certo un esperto di economia e fisco. Penso sia innegabile che in Italia si paghino troppe tasse. Ma questo non mi fa minimamente arretrare dalla necessità di rispettare le regole. E tutto quello che si può fare per combattere il lavoro nero, ben venga».
Contro
Cosimo Sibilia: “Che pericolo. Chi avrà più interesse a fare il volontario?”
«Molto pericolosa. Posso anche comprendere l’intento del ministro: garantire un sostegno a realtà alle prese con difficoltà economiche e incapacità burocratiche. Ma il rischio serio è che in un mondo già “selezionato” dagli anni della recessione, la “manina” imprenditoriale finisca per rivolgersi solo ai più appetibili, quelli che garantiscono guadagni facili ma che, spesso, hanno poco a che fare con lo sport vero».
2. E cosa potrebbe accadere a quel punto?
«La prospettiva sarebbe desolante se corressimo soltanto il rischio di creare un dilettantismo di Serie A, sostenuto a livello imprenditoriale, che strizza l’occhio al professionismo; e uno di B, sostenuto soltanto dalla passione, che farà ancor più i salti mortali per sopravvivere. Ma la prospettiva diventa inquietante se ci sforziamo di intravedere il vero rischio di questa vicenda: chi vorrà continuare a vivere lo sport da volontario?».
3. Lei da presidente della Lnd cosa propone?
«Le cito un esempio che ha fatto sorridere qualcuno: abbiamo introdotto la numerazione di maglia fissa anche nelle nostre squadre: significa che ognuno si lava la maglia a casa propria».
4. La rivoluzione inizia dal risparmio in lavanderia?
«Comincia dalla politica dei piccoli passi, ma concreti. In questi primi mesi di gestione, nonostante la necessità di riportare il bilancio in pareggio, siamo già riusciti ad arginare l’emorragia di società con la gratuità delle iscrizioni in Terza categoria e un risparmio sulla quota assicurativa di due euro per ogni tesserato.Il nostro mondo è fatto di questo. Orgogliosamente».
Alessandro Catapano-Valerio Piccioni
(La Gazzetta dello Sport, martedì 24 ottobre 2017)