L’olimpionico che lavora al Cio riflette sul doppio impegno sport-studio: «Il momento più bello, tornare ora sarebbe un errore»
Alla fine, Giovanni Malagò lo incorona: «L’intervento più fragoroso e più sincero di questi due giorni». Niccolò Campriani, un po’ ex e un po’ no, si prende la platea con un intervento a cuore aperto, in cui si mischiano fragilità e fiducia verso il futuro. La platea degli Stati Generali dello Sport Italiano gli riserva una standing ovation. Pronuncia il suo discorso con il sorriso, ma attinge a un vocabolario duro quando racconta. «La partenza per gli Stati Uniti, la borsa di studio, il vivere da studente-atleta, è stato il momento più bello della mia vita e a Londra sono riuscito a vincere un oro e un argento. Ma poi ho scelto di fare il professionista, di portare le ore di allenamento da quattro a otto, qualche volta anche a 12. Con quella scelta ho compiuto l’errore più grande della mia vita, ho ucciso la passione perché è diventata un’ossessione». Un’ossessione con cui ha convissuto fino al punto di vincere ancora, anzi di più a Rio. «Ma il trucco è essere felici anche prima della medaglia».
STUDIARE SI PUO’ Niccolò ora lavora al Cio, a Losanna, un anno di contratto per aiutare i programmi di doppia carriera, studio e sport di alto livello. «Avevo deciso di smettere ancor prima di arrivare a Rio, però mi è stato da lezione e ora lavoro proprio nei programmi post carriera degli atleti. Ciò che è successo alle Olimpiadi ne è la prova: le prime Nazioni nel medagliere sono quelle che coltivano la figura dello studente-atleta. Sapete quante medaglie hanno vinto gli atleti dell’università californiana di Stanford a Rio? 27, una in meno dell’Italia». Malagò strabuzza gli occhi.
TORNARE COME SCAPPARE L’ingegnere-tiratore Campriani rivela anche il suo momento difficile. La tentazione di tornare è grande. «Ma sarebbe l’errore più grande che potrei commettere. Devo fare i conti con le difficoltà che incontro. Tornare in questo momento sarebbe come scappare, la vivrei così». Bisognerà aspettare agosto, la fine dell’anno al Cio, per decidere definitivamente? «Sì, ora no, ora non posso fuggire».
NICCOLO’ E PIETRO Chissà perché ci viene in mente Pietro Mennea. Per carità, altro sport, altri tempi, altra storia. Però i dilemmi sul futuro, la tentazione di smettere e quella di riprendere, in fondo sono simili. Solo che Pietro sapeva occultare la sua sofferenza, la interiorizzava, ne faceva il gas per massacrarsi di ripetute. Il suo personalissimo «patto» fra atletica e studio — non dimentichiamoci le sue quattro lauree — era fatto di un sovrumano desiderio di riscatto e di affermazione. Niccolò, invece, mette pubblicamente a nudo i suoi tormenti, non sfida la paura, quella paura di non sbagliare il momento giusto per sparare «fra un battito del cuore e l’altro» per evitare il contraccolpo sulla carabina, ma convive con lei.
NUOVA «MISSION» Pure questo è un segno dei tempi. Lo sport è cambiato. Chiuderlo a chiave da qualche parte, sposare la retorica della favoletta dell’isola felice, significa perdere delle opportunità. E se Beatrice Lorenzin, ministro della Salute, sottolinea le virtù della prevenzione, «è quasi folle sottovalutare questa possibilità per un Paese come l’Italia, lo sport salva la vita», Giovanni Malagò chiude i lavori chiedendo alla politica di «uscire dall’equivoco» sul ruolo del Coni. Il discorso non è: finanziateci di più perché altrimenti rischiamo di vincere meno medaglie. Piuttosto: la nostra mission è più larga? Ci dobbiamo occupare di sociale o di scuola, accettiamo la sfida, naturalmente con «nuovi mezzi e fondi». Teresa Zompetti, che dirige il settore «strategia e responsabilità sociale del Coni», lancia una proposta sulla base del programma 18 mesi-18 anni varato in Gran Bretagna nel 1994 per l’attività motoria fra bambini e ragazzi. Se i 100 milioni del fondo sport e periferie per gli impianti sono una gamba, l’altra potrebbe essere un grande investimento fra i giovanissimi, in particolare nella scuola.
OCCASIONE CALCIO Anche Campriani ascolta. A discorsi finiti, incontrandolo non resistiamo alla tentazione di chiedergli degli azzurri del calcio, di come sta vivendo questo pallone nella tempesta. Il campionissimo del tiro a segno ci risponde quasi aprendo le braccia: «Sono rimasto malissimo. Ma cinque minuti dopo ho pensato anche che questa può essere una grande occasione per ripartire». Speriamo.
Valerio Piccioni (La Gazzetta dello Sport – mercoledì 22 novembre 2017)