#L’Italia si arrovella sul Def del governo Conte che adesso sembra cambiare di nuovo, dopo le tirate d’orecchie dell’Unione europea (e di cui parliamo nella pagina seguente), ma a noi oggi intriga di più il Nobel per la Chimica assegnato agli americani Frances H. Arnold e George P. Smith e al britannico Sir Gregory P. Winter per i loro studi sulla cosiddetta chimica verde. Ci interessa, aldilà della enorme importanza dei loro studi, per alcuni risvolti che riservano le scelte operate quest’anno a Stoccolma. Ma andiamo con ordine. Arnold, Smith e Winter lavorano sui “registi dell’evoluzione”, cioè sugli enzimi alla base di quelle reazioni chimiche che permettono di manipolare la natura in modo da ottenere biocarburanti, nuovi materiali, anticorpi ad alta precisione o anche farmaci antitumorali. Il primo di quei tre nomi è quello di una donna. Alla Arnold, 62 anni, insegnante di Ingegneria chimica, bioingegneria e biochimica al California Institute of Technology (Caltech) va metà del premio per i suoi studi – iniziati negli Anni 70 – che hanno permesso di controllare gli enzimi.
# Smith e Winter si dividono l’altra metà per le ricerche condotte sulla genetica dei batteriofagi e sugli anticorpi.
Smith, 71 anni, oggi è professore emerito dell’università del Missouri, ma in passato ha lavorato anche ad Harvard e all’università di Cambridge (quella nel Massachusetts, non quella inglese). Studiando i virus che infettano i batteri riuscì a trasformarli in “fabbriche” di proteine (la tecnica chiamata phage display) aprendo la strada allo sviluppo delle biotecnologie e delle nanotecnologie (per esempio, usando quei batteri per manipolare i metalli). Winter, sessantasettenne, è professore emerito del Laboratorio di Biologia Molecolare del Medical Research Council a Cambridge: capì che utilizzando le tecniche di Smith si potevano creare nuovi farmaci, ed è riuscito a controllare gli anticorpi per “spingerli” a svolgere determinate funzioni. Uno di essi, l’adalimumab, oggi è approvato per curare artrite reumatoide, psoriasi, malattie infiammatorie. Ma dopo il suo anticorpo dal nome impronunciabile, altri ne sono arrivati e sono utilizzati contro i tumori e le malattie autoimmuni.
# Insomma, qualcosa di straordinario e davvero affascinante e che però – fateci caso – si collega strettamente ai Nobel per la Medicina e per la Fisica assegnati dall’Accademia di Stoccolma lunedì e martedì.
In che senso? Nel senso che sono tutti riconoscimenti rivolti non agli studi teorici, ma che tengono conto della quotidianità delle persone, dei benefici che la scienza può portare con applicazioni rivoluzionarie eppure rivolte alla carne viva dell’umanità. Il Nobel per la Medicina è stato assegnato, così, all’americano James P. Allison e al giapponese Tasuku Honjo Allison per aver sbloccato il sistema immunitario e averlo trasformato immediatamente in un alleato nella lotta contro il cancro, mentre quello per la Fisica è andato a Arthur Ashkin, Gérard Mourou e Donna Strickland (uno statunitense, un franco-americano e una canadese) per gli studi sul laser che oggi permettono di superare disturbi come la cataratta o il glaucoma dell’occhio con interventi praticamente ambulatoriali.
# C’è un secondo aspetto che accomuna i Nobel: ci sono le donne.
La Arnold è la quinta donna nella storia a ricevere il premio per la chimica; la Strickland è la prima fisica a vincerlo dopo 55 anni, e sono solo tre in un secolo. Una scelta che non può essere casuale. Una volontà quasi politica di voler abbattere difficoltà, barriere e pregiudizi, di voler riconoscere la forza dell’intelligenza, dell’intuizione, del talento per quel che sono: un dono che non conosce sessi, ceti, né razze.
# Può aver influito il movimento del #MeToo, la convinzione che la scienza, appunto, non può stare rinchiusa in torri d’avorio ma deve calarsi nella società.
Può darsi. Anzi, senz’altro. Quest’anno, per la prima volta da 70 anni, non sarà invece assegnato il Nobel per la Letteratura. Il francese Jean-Claude Arnault, marito di una delle più influenti giurate del premio, proprio lunedì è stato condannato a due anni di carcere per stupro, dopo le accuse di 18 donne. Lo scandalo aveva portato alle dimissioni di metà della giuria e quindi al venir meno del quorum utile per l’assegnazione del premio. È piacevole pensare che la vita reale che non si annuncia e non bussa alla porta, così, abbia indotto l’Accademia ad occuparsi della vita reale.
di Massimo Arcidiacono (La Gazzetta dello Sport del 4 ottobre 2018)
# Smith e Winter si dividono l’altra metà per le ricerche condotte sulla genetica dei batteriofagi e sugli anticorpi.
Smith, 71 anni, oggi è professore emerito dell’università del Missouri, ma in passato ha lavorato anche ad Harvard e all’università di Cambridge (quella nel Massachusetts, non quella inglese). Studiando i virus che infettano i batteri riuscì a trasformarli in “fabbriche” di proteine (la tecnica chiamata phage display) aprendo la strada allo sviluppo delle biotecnologie e delle nanotecnologie (per esempio, usando quei batteri per manipolare i metalli). Winter, sessantasettenne, è professore emerito del Laboratorio di Biologia Molecolare del Medical Research Council a Cambridge: capì che utilizzando le tecniche di Smith si potevano creare nuovi farmaci, ed è riuscito a controllare gli anticorpi per “spingerli” a svolgere determinate funzioni. Uno di essi, l’adalimumab, oggi è approvato per curare artrite reumatoide, psoriasi, malattie infiammatorie. Ma dopo il suo anticorpo dal nome impronunciabile, altri ne sono arrivati e sono utilizzati contro i tumori e le malattie autoimmuni.
# Insomma, qualcosa di straordinario e davvero affascinante e che però – fateci caso – si collega strettamente ai Nobel per la Medicina e per la Fisica assegnati dall’Accademia di Stoccolma lunedì e martedì.
In che senso? Nel senso che sono tutti riconoscimenti rivolti non agli studi teorici, ma che tengono conto della quotidianità delle persone, dei benefici che la scienza può portare con applicazioni rivoluzionarie eppure rivolte alla carne viva dell’umanità. Il Nobel per la Medicina è stato assegnato, così, all’americano James P. Allison e al giapponese Tasuku Honjo Allison per aver sbloccato il sistema immunitario e averlo trasformato immediatamente in un alleato nella lotta contro il cancro, mentre quello per la Fisica è andato a Arthur Ashkin, Gérard Mourou e Donna Strickland (uno statunitense, un franco-americano e una canadese) per gli studi sul laser che oggi permettono di superare disturbi come la cataratta o il glaucoma dell’occhio con interventi praticamente ambulatoriali.
# C’è un secondo aspetto che accomuna i Nobel: ci sono le donne.
La Arnold è la quinta donna nella storia a ricevere il premio per la chimica; la Strickland è la prima fisica a vincerlo dopo 55 anni, e sono solo tre in un secolo. Una scelta che non può essere casuale. Una volontà quasi politica di voler abbattere difficoltà, barriere e pregiudizi, di voler riconoscere la forza dell’intelligenza, dell’intuizione, del talento per quel che sono: un dono che non conosce sessi, ceti, né razze.
# Può aver influito il movimento del #MeToo, la convinzione che la scienza, appunto, non può stare rinchiusa in torri d’avorio ma deve calarsi nella società.
Può darsi. Anzi, senz’altro. Quest’anno, per la prima volta da 70 anni, non sarà invece assegnato il Nobel per la Letteratura. Il francese Jean-Claude Arnault, marito di una delle più influenti giurate del premio, proprio lunedì è stato condannato a due anni di carcere per stupro, dopo le accuse di 18 donne. Lo scandalo aveva portato alle dimissioni di metà della giuria e quindi al venir meno del quorum utile per l’assegnazione del premio. È piacevole pensare che la vita reale che non si annuncia e non bussa alla porta, così, abbia indotto l’Accademia ad occuparsi della vita reale.
di Massimo Arcidiacono (La Gazzetta dello Sport del 4 ottobre 2018)