Secondo Thomas Bach, c’è una «linea rossa» insuperabile per l’eventuale ingresso degli eSport nel programma olimpico: è la presenza di «video di assassinii, che promuovano la violenza o che contengano forme di discriminazione». Così il presidente del Cio, ieri in visita in India, è tornato sull’idea di aprire il mondo a cinque cerchi ai videogiochi.
Nell’ottobre 2017 il sesto «Olympic summit» aveva aperto al mondo dei videogiochi agonistici, sottolineando come possano essere considerati un’attività sportiva e chiedendo al Cio di aprire un dialogo con l’industria video. Secondo alcune stime, oltre due miliardi di persone al mondo giocano agli eSport, su console o cellulare; nel 2017, 385 milioni hanno assistito — dal vivo o meno — a eventi o partite come spettatori. Si valuta che nel 2017 il settore abbia creato ricavi per circa 600 milioni di euro di ricavi.
Ai Giochi asiatici del 2022 in Cina gli eSport potrebbero assegnare medaglia: in Estremo Oriente, i tornei che coinvolgono i giocatori più forti si disputano in stadi e palazzetti e attirano anche 60.000 spettatori. «Il Cio ha molte regole — ha proseguito Bach —. Per farsi riconoscere come disciplina olimpica non basta essere un’attività sportiva. La linea rossa saranno i video di assassinii, di violenza e i richiami a qualsiasi forma di discriminazione. Tutto ciò sarebbe contrario ai nostri valori e ai nostri principi».
Dal 2014, in Italia gli appassionati possono tesserarsi come sportivi dell’ambito del Gec (Giochi elettronici competitivi), associazione che fa riferimento all’Asi. Tra i videogiochi più diffusi e praticati, c’è League of Legends, un format di battaglie fantasy di strategia in tempo reale, ma anche i cosiddetti «sparatutto» come Counter Strike, Call of Duty, Overwatch.
La decisione del presidente Bach
Lo spunto
di Giulio di Feo
Si può spegnere un fiume in piena come se avesse un rubinetto? No, ma puoi incanalarne l’energia, fare tesoro dell’acqua così che i campi li nutra e non li devasti. Ecco, le ultime parole di Thomas Bach, in tema di eSports vanno in questa direzione. Perché i binari su cui viaggiano sport virtuali e tradizionali prima o poi dovranno incontrarsi: seguito e attenzione (e praticanti) dei primi non possono essere ignorati dai secondi, così come senza una certificazione ufficiale della loro attività i player non smetteranno di essere «quelli dei giochi elettronici». Un videogiocatore pro compie fino a 300 azioni al minuto all’interno di discipline con una forte componente tattica: non è uno sforzo da poco e richiede allenamento, concentrazione e dedizione. Parametri da atleta, pure Bach lo ammette. Il problema nasce là dove un videogame simula guerra, uccisioni, bombardamenti: che sia ambientata durante un conflitto vero o nel paese delle fiabe, la violenza è violenza e i valori olimpici promuovono pace. Bach quindi prova a deviare utilmente il corso del fiume: okay gli eSports, ma che simulino lo sport vero, con la speranza che chi li guarda provi a praticarli sul campo. Lodevole, de Coubertin non avrebbe trovato compromesso migliore. Ma manca tanto prima di vedere i Cinque Cerchi attorno a un pad. Innanzitutto il Cio non ha un interlocutore forte e indipendente dall’industria che garantisca conformità al resto dei principi (doping, scommesse, eccetera). I giochi sportivi hanno inoltre un decimo del seguito gigantesco che certi sparatutto si portano dietro, quindi il fattore interesse si restringerebbe. E poi ancora ci sono eSports non violenti, ma complicati e strategici come gli scacchi, stravisti per carità, ma valli a spiegare agli altri. Aspetti da discutere, provare e progettare. Intanto ogni parola è un passo.
La Gazzetta dello Sport (venerdì 20 aprile 2018)