Repubblica22032020

Anche quando l’emergenza sarà finita non torneremo subito alla normalità

Quando sembrerà finita non lo sarà ancora. È lunga la strada che ci aspetta per tornare alla vita di prima, ammesso poi che la vita di prima si possa davvero fare ancora. In Italia l’obiettivo di azzerare le nuove infezioni è ancora lontano ma c’è già chi pensa al dopo, a quei mesi estivi e autunnali in attesa di un vaccino o di una terapia farmacologica efficaci contro il virus. Non saranno giorni di feste, concerti, vacanze all’estero e cenoni al ristorante. No, anche quando il mostro se ne sarà andato dovranno essere rispettate per mesi misure di “distanziamento sociale”. Per ipotizzare quali saranno al momento bisogna affidarsi agli esperti visto che un piano definitivo il Governo ancora non ce l’ha, preso com’è dalla lotta all’epidemia. Una cosa va detta subito a chi sogna vacanze in giro per il mondo. È meglio abbassare le aspettative e prepararsi a un’estate stanziale, magari non nei cortili dei palazzi, come negli anni Cinquanta, ma quasi.

Intanto c’è da capire quando non avremo più nuovi casi. Le previsioni sul futuro della pandemia sono varie e più o meno pessimistiche. Di certo, comunque, nessuno pensa che saremo liberi dal coronavirus prima di maggio inoltrato. A quel punto, spiega Pier Luigi Lopalco, epidemiologo dell’Università di Pisa ora consulente della Puglia per l’emergenza, «il virus resterà endemico, continuerà cioè a circolare facendo magari un caso ogni tanto». Sarebbe la prospettiva migliore ma visto che il coronavirus sarà presente anche in altri Paesi, potrebbero esplodere nuovi cluster epidemici portati da viaggiatori. «Dovremo riaprire i rubinetti lentamente, tenendo intanto a casa le persone fragili e mettendo subito in quarantena chi ha una sindrome influenzale. Riprendiamo la nostra vita in questo modo e se la malattia riparte ci fermiamo un’altra volta. Come in un effetto yo-yo». L’idea, un po’ inquietante, è di Vittorio Demicheli, l’epidemiologo della task force lombarda per l’emergenza coronavirus. Parte dal presupposto che resteremo esposti alla malattia, cioè che il passaggio di questa pandemia non avrà immunizzato neanche le persone colpite.

«Io invece sono propenso a dire che questo virus sia affine agli altri, e quindi una memoria immunologica di popolazione la dia», dice Antonio Ferro, vicepresidente della Società italiana di Igiene e direttore della sanità del Trentino — I casi che vediamo sono la punta dell’iceberg, sicuramente le persone infettate sono molte di più».

Non è detto comunque che da maggio si possa contare sulla cosiddetta immunità di gregge. Per questo, secondo Giovanni Rezza che guida le Malattie infettive dell’Istituto superiore di sanità sarà necessario stare comunque attenti. «Andranno trovate nuove misure di distanziamento sociale. Faremo certamente poche o nessuna vacanza all’estero, perché tra Paesi dove ancora ci sono focolai e altri che non ne hanno più e temono che si ripresenti, gli spostamenti saranno bloccati quasi ovunque». Non solo. «Saranno limitati assembramenti di qualunque tipo, nei luoghi pubblici e privati — dice ancora Ferro — Nei locali andrà ripristinata la norma, adottata prima delle chiusure, che chiede un distanziamento adeguato tra gli avventori». In generale potrebbero dover essere riorganizzati ristoranti, bar, discoteche, hotel, teatri, cinema, palestre, centri commerciali, musei e altro ancora. La tecnologia contribuirà a farci tenere le distanze, se necessario. Demicheli pensa ad una app sulla quale chi si ammala può inserire la sua condizione e renderla nota al servizio sanitario e a eventuali contatti: «Il tutto ovviamente si deve basare sulla volontarietà».

C’è un altro cambiamento che tutti gli esperti considerano necessario per quando i casi saranno calati. Quello del sistema sanitario, dovrà essere riorganizzato e pronto a intercettare e curare nuovi casi isolando subito i contatti. Tutto in attesa dell’autunno, quando il ritorno del freddo potrebbe favorire il coronavirus, tra l’altro facendolo diffondere insieme all’influenza. «Finché non si troverà una cura farmacologica, che per me sarà disponibile prima, o un vaccino dovremo sacrificare parte della nostra vita sociale — dice Walter Ricciadi, membro del Comitato tecnico della Protezione civile e sostenitore dell’uso della tecnologia per controllare i potenziali malati come il passaporto digitale — Non torneremo tanto presto come prima, ci dovremo abituare a una nuova normalità».

Michele Bocci – La Repubblica domenica 22 marzo 2020

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