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Winter Camp day 1 – Almudena Lopez: una donna in lotta per il cambiamento

Atleta d’alto livello (Vice campionessa d’Europa nel 1986, volendo riassumere al minimo il suo bel palmares, giornalista e blogger (https://judobywoman.com/), insegnante di judo, madre.

La particolarità della Maestra Lopez, judoka madrileňa, è proprio quella di esser riuscita a mescolare le sue principali passioni, il judo e il giornalismo, nell’obiettivo di restituire una fotografia precisa del modo in cui la figura femminile viene presentata dai media e, magari, di segnare un cambiamento futuro, influendo su tale percezione.

  1. Evoluzione e sviluppo del judo femminile: questa conferenza prende le mosse dalla tesi di dottorato che ha scritto, ottenendo la laurea con lode. Da dove è nata l’idea della tesi, che in seguito si è convertita nel filo conduttore della Sua carriera come formatrice?

Quando ho iniziato la mia tesi, il mio professore richiedeva un lavoro rapido e preciso, ma io ho faticato a lasciare il mondo agonistico e, in quel momento, ciò di cui avevo bisogno era di riconciliarmi con il mio passato, utilizzando la mia esperienza e le mie conoscenze per un qualcosa di più profondo. Ho trascorso dodici anni della mia giovinezza lontano dalla famiglia, concentrandomi solamente sullo sport in un centro olimpico. Quando sono tornata alla vita “normale”, al mondo esterno, per me è stata dura gestire il momento e decidere che cosa fare della mia vita: avevo iniziato a studiare psicologia, ma sentivo che non era la mia strada, mi coinvolgeva troppo da un punto di vista emozionale. Ciò che più mi ha aiutato a mantenere un equilibrio quando ero un’atleta di alto livello è stata la scrittura, per cui volevo raccontare tutto ciò che avevo dentro. Posso dire che la scrittura mi ha aiutato a riorganizzare la mia vita. Ho deciso di intraprendere un altro percorso di studi, quello del giornalismo, arrivando anche a conseguire un Master. Un giorno avevo preso parte a una lezione di judo dedicata espressamente alle donne e lì è scattata l’idea e la decisione di farne il mio argomento di tesi. Da lì a rendermi conto che la stampa trattava le femmine che praticano sport/judo vengono presentate in maniera diversa dai maschi, il passo è stato breve. Mi sono trovata a dover decidere quale periodo storico trattare: dovendo scegliere un punto di partenza preciso, ho optato per le prime judoka che avessero partecipato a un campionato europeo, fino ad arrivare al 2012, anno della mia laurea. Ho faticato a reperire materiali e a gestire una simile mole di lavoro.

  • Quale ruolo ha l’immagine femminile oggi e come viene trattata dai media?

Il fatto è che non abbiamo chiaro che cosa si intende con femminilità: se io dico che sono femminista, le mie parole vengono intese con un’accezione negativa. Se io dico che, come sto facendo, sto lottando per il judo femminile, rischio di venir fraintesa. Io vengo da un’epoca, non poi così lontana, in cui c’erano poche femmine rispetto ai maschi ad allenarsi nel dojo; in cui l’insegnante si metteva da una parte e tutti gli allievi dall’altra pendevano dalle sue labbra. Ora noto che ancora ci sono molti ruoli o cariche importanti che vengono ricoperte da maschi. La differenza con una volta è che, mentre prima molte cose ci erano precluse (fare gare, ricevere i dan più alti, e molte altre cose), negli anni, davvero di recente, abbiamo superato quest’insieme di limitazioni facendo ciò che fanno loro, ma non si tratta solamente di imitare, quanto di mantenere la nostra essenza di sesso femminile, cercando da noi le opportunità migliori per dare una nostra visione e un nostro contributo. Il problema è che se io donna mi pongo come professionista devo io per prima prendermi sul serio. L’ho vissuto sulla mia pelle e ho dovuto imparare a essere ferma con me stessa: bisogna imparare ad accettare di poter rischiare di ricevere un no quando si propone qualcosa, ma bisogna anche essere disposte a lottare per ciò che si vuole.

La immagine che diamo delle donne nello sport e nel judo dipende prima di tutto da noi: ciò che ci frena, in primo luogo, è la nostra incapacità di lasciarci andare, di mostrarci vulnerabili di fronte agli altri. La nostra testa funziona in maniera differente da quella degli uomini, ma non per questo vale meno!

  • Quanto ha influito la sua visita in Giappone nel suo modo di vedere il judo?

Il problema è che noi guardiamo al Giappone per migliorarci, ma in Giappone, ancora adesso, quando conferiscono un grado a una donna, segnano che si tratta di un grado “femminile”.

  • Come crede debba cambiare la forma in cui i media di comunicazione trasmettono la figura femminile?

Credo che il cambiamento debba venire, in primo luogo, dalle nostre istituzioni, da una corretta educazione scolastica e, per quanto possa apparire una visione molto romantica, nel pieno sviluppo di ciascuno nel suo talento personale, perché se ti concentri su questo, quando meno te lo aspetti i risultati arrivano e puoi davvero riuscire a fare ciò che vuoi. Se invece pensi di farlo perché devi, ti autolimiti. Molto spesso manca la capacità di comunicare in maniera corretta e i messaggi che vengono trasmessi e che arrivano ai più giovani, che sono anche i più influenzabili, risultano scorretti. Per questo partire dalla scuola, puntare a formare persone a tutto tondo e, nello sport, non concentrarsi solamente sulla competizione, possono aiutare a creare una forma di comunicazione più corretta.

  • Lei ha due figlie: che futuro vorrebbe per loro a livello sportivo e sociale?

Io dico sempre loro che due cose hanno importanza e, non per niente, sono alla base del judo: per far lavorare più possibile in simbiosi mente, corpo e cuore è necessario cercare nella propria vita il mutuo aiuto, perché è ciò che serve a crescere: una persona non può crescere da sola, si cresce quando si è in gruppo, perché dall’unione di due idee ne può nascere una terza ancora migliore e l’uso effettivo dell’energia, perché troppo spesso lo sprechiamo con cose che non ci aiutano. Dovremmo ricercare cose positive, che ci permettono di crescere: è fondamentale, se si vuole davvero raggiungere dei risultati, basarsi su costanza, lavoro duro, rispetto degli impegni presi.

  • So che alcuni anni fa aveva in progetto di scrivere un libro: ha portato a termine questo sogno?

In realtà ne ho scritti tre, ma non ne ho ancora pubblicato nemmeno uno! Noi donne siamo meticolose, perfezioniste… una parte dei miei lavori si dedica al tema del judo femminile, ma ciò che a me interessa altrettanto intensamente è la prospettiva di insegnamento agli insegnanti tecnici: quello è un sogno che mi piacerebbe realizzare. Vorrei portare una mia visione di uno sport sostenibile, che non guardi solamente all’aspetto competitivo e all’apprendimento rapido e superficiale, ma scavi più a fondo.

  • Qual è il messaggio che più di tutto Le interessa trasmettere?

Non considerare le virtù femminili come una limitazione per la crescita: quando le istituzioni, per un discorso di pari opportunità, si trovano a dover inserire i nomi di donne all’interno del loro organigramma, non dovrebbero viverlo come un obbligo, ma come un’opportunità, perché noi donne, per genetica, pensiamo in maniera differente. Io credo che la diversità sia una risorsa.

  • Che cosa si aspetta come risposta da chi verrà ad ascoltarLa sabato?

Non mi aspetto mai nulla; a volte mi chiedo se mi ascolteranno, se mi capiranno… però ciò che penso sempre è che potrò magari ispirare qualcuno e creare una coscienza: se riesco a ottenere che qualcuno si interroghi su cose che fino a ora ha recepito come qualcosa di normale, di vissuto quotidiano, per quanto imposto dall’alto, avrò già ottenuto molto. Mi piacerebbe ci fosse il tempo per molte domande, perché sono quelle che generano più interesse e confronto: la mia idea di base è che io non ho l’idea migliore e definitiva, ma mi tengo sempre pronta all’ascolto e alla ricezione.

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