Allenamenti rigorosi, tenuti con precisione e attenzione ai dettagli. Ed energia, tanta, positiva, di quelle che trascinano e ti fanno venir voglia di migliorare. Già osservando un paio di minuti di lezione tenuti dal Maestro Silvio Tavoletta, ci si fa un’idea alquanto precisa di chi si ha di fronte: una persona straordinaria, che si mette a disposizione degli altri senza risparmiarsi mai.
Maestro, Lei ha mille impegni: l’attività con la FISPIC (Federazione Italiana Sport Paraolimpici per Ipovedenti e Ciechi), è Presidente della sua società il Kodokan Chieti, il figlio Lucio… tutti impegni che, immagino, assorbono tantissime energie.
Emotivamente, soprattutto! – conferma prontamente Silvio Tavoletta.
Partiamo proprio da qui, dal rapporto con suo figlio, nella sua duplice veste di padre e tecnico: che emozioni si porta dietro questo doppio ruolo?
Le emozioni sono indescrivibili, ma sono anche irraccontabili, perché devo far sempre finta di niente, perché avere un papà maestro, a qualsiasi domanda, a qualsiasi paura, a qualsiasi dubbio, deve sempre mostrarsi sicuro, preciso, chiaro e rassicurante; dev’essere costruttivo… il mio ruolo, se avessi solo lui come allievo, sarebbe più semplice. Il mio atteggiamento nei confronti dello sviluppo judoistico sportivo di mio figlio è stato quello di considerarlo sempre al pari degli altri. Nel mio cuore ovviamente questo non può accadere, ma nei fatti è accaduto e abbiamo raggiunto un compromesso bellissimo, perché lui non vuole essere considerato mio figlio: si impegna più degli altri! Sa che deve dimostrare più degli altri, perché io non gli concederò mai di avere una chance in più, piuttosto che di avere una corsia preferenziale. Per cui il rapporto è bellissimo, perché diciamo che lo guardo dai suoi occhi, dal suo sorriso e vedo che probabilmente questo compromesso ha funzionato. Il gruppo è coeso, sono tutti amici i suoi compagni e io, ovviamente, quando sono sugli spalti a guardare e lui gareggia in ambito internazionale, ho il cuore fermo e incagliato.
Ritiene che quest’equilibrio che si è venuto a creare sia il segreto di questo gruppo così forte e coeso del Kodokan Chieti?
Sì, il gruppo forte nasce dal rispetto e dall’amore per la tradizione, per gli insegnamenti del nostro maestro, che è sempre presente. Io credo che da soli non si va’ mai da nessuna parte: bisogna stare insieme, perché bisogna fermarsi ad aspettare chi magari è un po’ più lento, nel cammino intendo, o chi ha difficoltà o chi non ha ancora compreso le proprie potenzialità. Così come bisogna far capire che non bisogna correre a chi magari si trova un po’ più avanti. Questo concetto di gruppo, di aiutarsi sempre reciprocamente, che per i ragazzi di quattordici, quindici, sedici anni è complicatissimo da comprendere, probabilmente è il segreto del Kodokan: tradizione e rispetto dei propri compagni e aiutare sempre chi magari ha bisogno più di te
Lo trova tanto più difficile adesso, in quest’epoca in cui l’immagine ha tanto rilievo e i ragazzi sono tanto più concentrati su se stessi, forse più di quanto non fossero un tempo?
Lo trovo difficile, ma io trovo che questa sia soltanto una facciata, perché io credo che concentrarsi sulla propria immagine, soprattutto social, distorce la visione, sia di se stessi che del ruolo che ognuno di loro ha, in un concetto di small group, di club o di palestra o di classe a scuola, ma anche del ruolo che loro vorrebbero avere un giorno nella società. Oggi fermare un’immagine o un reel, piuttosto che una frase a effetto o delle luci particolari, ci potrebbe far sembrare che il nostro futuro potrebbe essere qualcosa di diverso. Io li riporto sempre alla realtà, essendo anche molto fastidioso, un po’ duro, però, secondo me, più in là capiranno che lo faccio solo per amore del loro futuro, delle loro potenzialità.
Che futuro si aspetta sia per Lucio che per loro? Che prospettive ha?
Le prospettive sono quelle di far crescere il gruppo, di dare le possibilità a tutti e non solo a chi ha ricominciato quando io ho ricominciato a far judo col Kodokan. Creare una scuola, un metodo, che parta dall’educazione morale, di cui Luigi Gorgano andava fiero e di cui io sono onorato di essere uno degli interlocutori del mondo sportivo. Ma, soprattutto, ritengo che l’agonismo sia soltanto un percorso: loro devono amare quello che fanno e se riescono ad amare il judo, a divertirsi, tra virgolette, cercando di raggiungere un obiettivo, uno scopo, forse potranno fare judo per sempre.
Per Lucio mi aspetto che lui comprenda che il risultato agonistico è solo una parte della sua vita. Vorrei fosse felice, così come insegno a tutti i ragazzi. Il futuro del judo, dell’agonismo, delle competizioni, della nostra vita, non può che essere la felicità. E se il judo è un mezzo per poterla raggiungere, allora io sarei ancora più contento.
Crede che possa essere un modo, uno dei modi per poter contrastare l’abbandono sportivo?
Assolutamente sì. Se vediamo qualcuno senza sorriso, corriamo tutti a cercare una soluzione o ci chiediamo sempre il perché; non lasciamo indietro qualcuno che magari era infelice o più scontento o si sente poco adeguato al gruppo, per dedicarci all’agonismo o all’atleta di punta, perché così si distruggerebbe tutto quello che abbiamo fatto e che hanno fatto i nostri maestri per tanti anni.
Parliamo un attimo di FISPIC e del gruppo che avete portato al Winter Camp. Mi è stato detto che questo per loro è il primo stage condiviso con dei normodotati.
È il primo stage in cui siamo presenti sul tatami condividendolo con i normodotati, sì.
Come sta andando?
Alla grande! I ragazzi sono entusiasti, si sentono allo stesso livello, sono performanti, seri, educati, si divertono… poi sono autoironici. Io sono fortunatissimo ad averli incontrati e ringrazio la FISPIC e il mio presidente e amico, Sandro Di Girolamo, perché mi ha dato un’opportunità di crescita personale, sportiva, dirigenziale, tecnica infinita.
Si parlava ieri con alcuni tecnici che, rispetto a un passato in cui la disabilità, a livello sociale, veniva quasi nascosta e le famiglie tendevano a nascondere figli con qualche forma di disabilità, oggi giorno come ci si pone?
Per me loro sono degli eroi! Quindi oggi con le famiglie, con loro stessi, cerchiamo di rafforzare questa caratteristica, quindi il fatto di essere veramente al di sopra di ogni aspettativa. Loro sono fenomenali! Lo sport è uno di quei carrier che possono portare un nuovo messaggio. Come dice Matilde (n.d.r. Lauria) la disabilità non và subita, và vissuta. È un messaggio che lascia senza parole!