Trieste, 5 marzo 2015. Era l’uomo che inseguiva i sogni, Emilio Felluga. E aveva un privilegio: sapeva realizzarli. Rendeva possibile ciò davanti a cui chiunque altro si sarebbe arreso: riusciva a farsi spalancare anche le porte più inaccessibile, annullava i conflitti, sapeva mettere d’accordo tutti. Impresa improba in una regione piccola geograficamente ma tanto complessa. Ci riusciva senza alzare la voce. Con una battuta. Con un sorriso. Il suo mondo lo aveva raccontato un paio di anni fa in un libro. Lo riassumeva il titolo. “Sognavo il Tour de France (ma non avevo la bicicletta)”. Memorie di un artigiano dello sport, era il sottotitolo. Modestia vera, quella che appartiene a chi ha valori tanto saldi da potersela permettere. Qualcuno lo chiamerebbe “low profile”, con snobistico sdegno. Felluga gli avrebbe replicato sorridendo, non prima di aver pensato «Ma guarda ’sto mona che me parla in american…». Emilio Felluga era riuscito a dare un volto umano a un Coni che invece altrove spesso ha esibito, tra i corridoi delle federazioni romane, rincorse a poltrone e autorefenzialità. In Friuli Venezia Giulia bastava bussare e chiedere. Eppure dietro al sorriso di Felluga c’era una giovinezza fatta di dolore e amarezza. I primi anni, amicizie, momenti sportivi nella sua Isola d’Istria. Un capitolo che le umiliazioni dell’occupazione titina e l’esodo avrebbero potuto cancellare. E invece anche a Trieste Emilio si era portato dietro la sua Isola. Con le amicizie più sincere rimaste, con l’amatissima e gloriosa Pullino cui aveva restituito una nuova vita insieme a chi condivideva quel sogno, con l’impegno nella rivista “Isola Nostra” che resta il legame più tenace con chi, ai tempi dell’esodo, ha scelto o ha dovuto non fermarsi a Trieste e andarsene più lontano. Era stato il canottaggio a iniziare a farlo apprezzare a livello dirigenziale. L’impegno per rifondare la Pullino dandole una sede a Muggia, una inesauribile fantasia nel trasformare le regate locali in piccoli eventi, alcune felicissime intuizioni come la valorizzazione del settore giovanile puntando sui miniskiff o l’istituzione di gare ad handicap per armi diversi. Oltre a una straordinaria capacità di mediazione. Memorabile, a tal proposito, nel suo libro il racconto di una spedizione sportiva a Zagabria con una delegazione sprovvista di passaporti. Bonomia, senso pratico e una diplomatica sconfitta servirono a superare indenne anche quell’ostacolo. Dopo l’esperienza alla guida della Federcanottaggio locale, il comando del Coni provinciale succedendo a un’istituzione come Aldo Combatti, cercando – e riuscendo – a far coesistere il nuovo impegno con il lavoro in banca. Il posto sicuro, come si diceva una volta. Va da sè che l’impiego alla Cassa di Risparmio divenne anche l’occasione per coltivare contatti e conoscenze che più avanti si sarebbero rivelati utili anche in campo sportivo. «Ho sempre fatto il rompiscatole», amava ricordare. Sbagliava. I rompiscatole creano fastidio. Felluga era, semmai, un “martello”. Se aveva un obiettivo, lo inseguiva. L’averlo fatto non per proprio tornaconto ma a beneficio di una manifestazione o per realizzare un impianto gli procurava simpatie. Non ci fosse stato lui alla guida del Coni regionale probabilmente la realizzazione dello stadio Rocco sarebbe slittata chissà di quanti anni. Il grande impianto di Valmaura era un altro sogno realizzato. Come il PalaTrieste poi intitolato a Cesare Rubini. O la sede dell’Artistica ’81 dove un gruppo di appassionati di ginnastica artistica da San Giacomo ha cominciato una scalata ai vertici nazionali. Grandi impianti, grandi idee e grandi eventi. La Scuola regionale dello sport. Il Congafi sport, perchè anche i sogni hanno bisogno di consistenza economica. I Giochi olimpici della gioventù europea, portati a Lignano Sabbiadoro e creando un suggestivo legame nientemeno che con Olimpia, dove Felluga stupì l’eccellenza dello sport ellenico con un discorso in…greco antico. La candidatura per le Olimpiadi invernali prima con Tarvisio e poi da partner di Carinzia e Slovenia nella bella quanto infruttuosa avventura di “Senza Confini”. Le Universiadi invernali. Gli Europei di karate, un clamoroso successo che spianò la strada verso i Mondiali di pallavolo maschili. L’edizione 2010 del Mondialvolley è stato probabilmente il trionfo delle capacità di Felluga. Solo lui poteva riuscire a convincere gli esigenti vertici della Federazione internazionale a scommettere su una piccola regione e una città priva di un club di alto livello. Felluga esibì i lusinghieri risultati degli Europei di karate come un formidabile piazzista avrebbe fatto con il proprio campionario. Come andò a finire lo ricordiamo bene. Pienoni, numeri record e una solida credibilità che è servita a portare l’anno scorso a Trieste anche il Mondialvolley femminile. Qualche settimana fa, in una delle ultime uscite pubbliche, al Panathlon, aveva espresso un desiderio. «Vorrei che nella candidatura olimpica Roma 2024 ci fosse la pallamano a Trieste». Non gli sarebbero piaciute commemorazioni solenni e lunghi discorsi istituzionali nel giorno dell’addio al mondo terreno. Il modo più degno sarebbe provare a realizzare quell’ultimo sogno, ricordando la sua lezione: con la tenacia e la passione anche l’impossibile può realizzarsi. Quanto ai discorsi, il tributo migliore sarebbe appropriarsi della sua semplicità. «Emilio, eri una gran bella persona. Grazie». (di Roberto Degrassi, Il Piccolo)
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